Per chi ama il death metal l’appuntamento (ritardato di poco più di due mesi causa covid) con gli inglesi
Benediction era senza dubbio uno dei più attesi. Questo disco non era atteso solo perchè ci troviamo nell’anno di revival del OSDM, con ritorni di band di culto come
Carcass,
Cadaver,
Napalm Death,
Vader,
Messiah,
Morta Sklud e altri, ma soprattutto per il ritorno di
David Ingram, cantante storico della band (dal 1990 al 1998).
Ma del gigante buono/novello prete della chiesa di Satana ne riparliamo dopo.
Il ritorno di
Ingram non è l’unico cambiamento rispetto a
Killing Music (2008), in 12 anni la sezione ritmica è variata diverse volte: dal 2018 il posto dello storico
Frank Healy (nella band dal 1991) è stato riempito dal simpaticissimo
Dan Bate (
Omicida, Ex-
Monument). Bassista con cui confesso di essermi divertito parecchio, quando lo scorso dicembre ho avuto il piacere di vederli dal vivo (ed essere buttato giù dal palco a calci in culo, ma è un’altra storia :D). Invece nel 2019 dietro i tamburi ci è finito l’italianissimo
Giovanni Drust (anche lui membro di
Omicida e
Monument).
E infine rimangono le due asce, inossidabili riff-maker dal 1989:
Peter Rew e
Darren Brookes, che in tutti questi anni non hanno mai tradito la causa
Benediction, nemmeno per un side-project.
Mi sbilancio: “
Scriptures” è il miglior disco dei Benediction almeno da “
The Dreams You Dread”. Non solo perchè ha un ottimo suono, potente, raffinato e perfetto per esaltare queste canzoni, a cura di
Scott Atkins (
Vader,
Onslaught,
Amon Amarth,
Behemoth e altri), ma anche perchè è tornato quel gusto melodico nel comporre riff “cantabili”. Gusto che dal 1995 è stato un po’ messo da parte in favore di una maggior componente “groovy” e cadenzata. Poi non c’è da sottovalutare anche l’aspetto visivo, la copertina è la più bella da "
Transcend The Rubicon" in poi, su questo non mi può dir nulla nessuno. Tra l’altro disegnata da
Wolven Claws, aka Simon Harris, bassista/turnista della band tra il 92 e il 93.
Chi come me ha avuto il piacere di vedere dal vivo i
Benediction nel dicembre 2019, nelle 3 date mini-tour italiano, ha avuto l’occasione di ascoltare in anteprima 2 canzoni (“
Rabid Carnality” e “
Tear Off These Wings”). Canzoni che confesso, lì per lì non ho distinto granchè dalle altre, magari anche complici birra e pogo (il mio ultimo pogo...sigh), però non ho riscontrato grande un grande stacco, una grande differenza di songwriting.
Dopo un lampante riferimento a “
Hit The Lights”, una sinistra melodia ci introduce “
Iterations of I”, con cui i
Benediction vogliono dirci “Hey stronzi, siamo tornati più forti che mai”. Infatti già la opener è un ottimo esempio di quella maniera di comporre riff (e anche ritmiche) a cui ho accennato qualche riga fa. Segue a ruota la title track, altro pugno in nei denti: feroce, aggressiva e senza compromessi, come piace a noi.
“
Progenitors of A New Paradigm” ci fa tornare realmente alle atmosfere di "
Grand Leveller", "
Transcend the Rubicon" o "
Dark Is The Season", canzone che non avrebbe minimamente sfigurato in una delle tracklist degli album appena citati. La voce di
Ingram è oscura e potente, ogni tanto accompagnata da azzeccatissimi effetti di delay, che accentuano e anzi, valorizzano il suo personalissimo growl. “
In Our Hands, The Scars” invece è uno degli episodi meno riusciti del lotto. Una canzone che per carità, non è brutta, ma mi sembra molto un riempitivo, un voler allungare il brodo, quando non ce ne sarebbe bisogno. "
We Are Legion" è l'inno che conclude questo glorioso disco. Un manifesto d'unione per tutti i deathster a giro per il mondo che aspettavano da 12 anni questo come-back.
Tutto sommato il ritorno all’old school c’è senza dubbio, il ritorno di
Ingram ha influenzato questo cambio di rotta? questo non so dirlo, ma una cosa che posso dire, anzi urlare, è BEN TORNATI BENEDICTION!