Cerchiamo di evitare, innanzi tutto, la facile ironia che la scelta di un nome come questo può scatenare, soprattutto se si propone, come fanno i nostri tedeschi, un power metal abbastanza scrupoloso, in un ambiente in cui denominazioni all’apparenza più “cattive” e consone al genere, talvolta nascondono ben più importanti carenze musicali.
Devo ammettere che il monicker scelto e il bellissimo artwork di questo digipack, orientato al “gangsterismo” anni ’30, in luogo delle solite, magari pregevoli, ma ormai molto stereotipate confezioni grafiche d’ispirazione fantasy & c. e il relativo “coraggio” che sottende a tali opzioni (tenendo conto del rischio commerciale che la non facile identificazione con il genere musicale d’appartenenza di un disco può determinare e del fatto che, vedendo questo Cd inserito nelle vaschette solitamente riservate al metallo, potrà farvi pensare ad un clamoroso errore del Vostro “pusher” musicale preferito), rende ai miei occhi questa band istintivamente molto simpatica. Bisogna dire, però, che il gruppo esaurisce molta della sua originalità negli aspetti puramente estetici, in quanto, come già detto, offre un power metal tipicamente di derivazione alemanna, dalle importanti colorazioni melodiche e influenzato in maniera abbastanza rimarchevole anche dalle atmosfere di discendenza N.W.O.B.H.M.
“Take no prisoners” (i titoli sono un po’ più "rispettosi" dei dogmi stilistici), non è affatto un brutto disco; la precisione molto teutonica e le capacità tecniche raggiunte dai Chinchilla (giunti alla quinta fatica discografica, quindi non degli inesperti “beginners”) sono assolutamente rilevanti e, in particolare non dispiace la voce, a tratti alquanto Dickinsoniana di Tommy Laasch, assieme alle diligenti chitarre di Udo Gerstenmeyer, senza sottovalutare l’apporto garantito dal granitico propulsore ritmico (formato dal nuovo ingresso Roberto Palacios al basso e da Chris Schwinn a percuotere con veemenza i suoi tamburi) e il sobrio contributo delle tastiere suonate dallo stesso Gerstenmeyer; semmai il problema è purtroppo sempre il solito: molta professionalità e rigore, ma con criteri un po’ troppo convenzionali … il platter di primo acchito piace, ma regge decisamente meno agli ascolti ripetuti, ricordando in modo spesso evidente ora i Maiden, poi i Primal Fear (il loro guitar player Stefan Leibing presta, tra l’altro, i suoi servigi su “Money talks”) o gli Edguy e poi ancora questa o quella formazione, pescando a caso tra i campioni del metal sull’asse anglo-germanico (in ogni caso, più il secondo del primo). “The almighty power”, la turbinosa “The call”, la cadenzata “The ripper” con la sua stuzzicante melodia, l’epica “Lost control” (molto bella), la riflessiva “Silent moments” e la solenne “Stillborn soul”, sono brani di valore piuttosto elevato, sebbene calati in modo assoluto nei crismi del genere, senza grossi tentativi di uscire dagli schemi prestabiliti (e neanche credo che il farlo sia minimamente da considerare come una priorità per il gruppo).
Semplicemente, la musica che i Chinchilla amano e vogliono suonare è questa, non ci sono dubbi di sorta e bisogna riconoscere che sanno fare bene “la loro cosa” … ora sta a Voi decidere da che parte stare.
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