Gli
Alice in Chains sono stati uno dei gruppi di punta (insieme a Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden) del fenomeno grunge-rock che ha spopolato per buona parte degli anni '90. Oltre trenta milioni di dischi venduti, popolarità a livello mondiale, successo e genialità, eccessi tossici e tragedie (vedi la morte di Layne Staley), tutto sostanzialmente nell'arco di pochi ma abbacinanti anni. Infatti, tra il 1990 ed il 1995 il quartetto di Seattle ha pubblicato i tre lavori che lo hanno reso celebre, influenzando inoltre molte formazioni successive: "Facelift" (1990), "Dirt" (1992) e "Alice in chains" (1995). Tutto questo è storia.
Ma perchè stiamo parlando di Cantrell e soci? Perchè la
Magnetic Eye Records ha pensato bene di reclutare tredici bands del giro alternative, stoner, post-rock, neo-doom e affini, invitandole a reinterpretare in maniera completa l'album "Dirt", qui rinominato "
Dirt (Redux)". Identica scaletta dei brani, ciascuno eseguito da un gruppo diverso.
Operazione sensata, visto che gli A.i.C, più di altri esponenti grunge, hanno proposto un sound dalle forti tinte heavy e cupe, ai limiti del sabbathiano ma con diversa attitudine melodica. Tutto ciò lo ritroviamo, assai amplificato, nel presente disco. Un lavoro di buona levatura media, dove tutti i protagonisti cercano di offrire un contributo autonomo secondo le proprie caratteristiche stilistiche.
Spiccano le prestazioni di nomi già ben noti, come i superbi
Khemmis che diluiscono la bellissima "
Down in a hole" in un lungo percorso post-psichedelico dal gusto melodico intenso e raffinato, oppure i truci veterani
-(16)- che applicano il loro feroce timbro sludgy in una lenta e torbida "
Hate to feel", o ancora gli emergenti
Vokonis (dei quali lo scorso anno ho recensito l'ottimo "Grasping time") che sferragliano "
Angry chair" con un poderoso retrogusto alla Mastodon/Baroness.
Ma anche gruppi ancora più underground stupiscono in positivo: in particolare i
The Otolith (formati da ex-componenti dei Subrosa) che rilasciano una versione ultra-lisergica della celeberrima "
Would?.." ed i
Low Flying Hawks con la loro cover eterea, decadente e sottilmente cimiteriale di "
Dam that river".
Chiaramente, se non amate la musica degli Alice potrebbe essere un pò difficile approcciarsi a questo tributo. Io però non lo scarterei a prescindere, specie se siete amanti dei sottogeneri citati all'inizio. Tutte le canzoni possiedono una vibrazione personale, alcune più vicine all'originale ed altre che si discostano nettamente. Una buona varietà di soluzioni che rende omaggio ad un disco storico.
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