Quattro brani di lunghezza tra i nove ed i quindici minuti, lenti come lo scivolamento delle placche tettoniche, pesanti come l'impatto di un asteroide, distorti dall'acido, ossessivi e letargici come i mantra dei guru indiani, questo è quanto ci viene proposto dai veronesi
Jahbulong nel presente "
Eclectic poison tones".
Il trio scaligero è in circolazione dal 2015, all'interno dell'underground psycho-doom-sludge nazionale, con un paio di realizzazioni alle spalle. Adesso pubblicano per
Go Down questo lavoro di nicchia, pieno all'inverosimile di suoni lugubri e ribassati, di impennate mesmeriche, di vocals ritualistiche, di ritmiche progressivo-elefantiache, che può essere affrontato soltanto da coloro che hanno dimestichezza con l'hypno-heavy di gente come Sleep, Electric Wizard, Grief, Sons of Otis, ecc.
Disco di non facile fruizione, con le canzoni che si dipanano in maniera simile formando una sorta di colonna sonora tetra e drogata, heavy e sinistra, circondata da un'atmosfera extreme-doom dalle vibrazioni tragiche e foriere di drammatica oppressione. Molto "jam-oriented", molto ritualistico, il sound dei
Jahbulong possiede certamente una valida carica immersiva e psico-attiva ma sulla lunga distanza tende a mostrarsi un pò ripetitivo e monotematico.
Buoni gli escapismi ultra-effettati della chitarra di
Pierpaolo Modena, i passaggi prog-doom rarefatti e meditativi, certe parti vocali e strumentali quasi dark-bluesy ("
The tower of the broken bones"), la tensione magnetica e magmatica della ritmica, ma rimane un'opera un pò troppo racchiusa in se stessa e nel proprio senso di disperazione e deliquio narcotico.
I veronesi hanno personalità, questo è certo, ma possono focalizzarla ancora meglio in futuro.
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