Genesi davvero peculiare quella che contraddistingue il nuovo parto discografico dei
Garth Arum, che di nuovo, a voler ben guardare, ha poco o niente.
“
The Fireflowers Gate”, in effetti, era stato ideato e composto dal
mastermind madrileno
NHT (già con gli ottimi
As Light Dies e
Aversio Humanitatis, tra gli altri) già nel lontano 1997, ed avrebbe dovuto veder la luce come suo primo
demo. Ai tempi, tuttavia, non se ne fece nulla, e nemmeno dieci anni dopo, allorquando il
platter venne effettivamente realizzato ma mai immesso sul mercato, visto che il suo creatore non lo riteneva del tutto soddisfacente.
Lungo balzo fino ai giorni nostri, ed ecco che il disco viene ri-ri-registrato, licenziato dalla
Darkness Within e finalmente messo a disposizione dell’umanità intera.
Quasi un quarto di secolo: un’attesa, perlomeno a livello squisitamente temporale, tale da far impallidire quella per “
Chinese Democracy”. Un’attesa che ahimè, come avvenne per il nuovo
full dei
Guns N' Roses, non viene ripagata.
Già, perché in “
The Fireflowers Gate”, a parere di chi scrive, scorgiamo tutti i difetti di gioventù che è lecito attendersi da un musicista talentuoso e poliedrico come
Óscar Martín Diez-Canseco (nome fantastico, non capisco perché nasconderlo dietro uno pseudonimo): troppa carne al fuoco, tante influenze difficili da incastrare, mille idee non convogliate in un quadro organico.
Della prodigiosa sintesi fra stili diversi ed umori contrastanti presente in “
The Dawn of a New Creation”, gran lavoro del 2013, qui non si scorge che vaga traccia, tanto che la spaesante impressione è quella di essersi imbattuti in una sorta di
stream of consciousness musicale.
Così, il malcapitato fruitore si troverà in balia di un errabondo rincorrersi di
black atmosferico,
gothic,
avantgarde,
doom e
dark, senza che si riesca mai ad afferrare davvero il senso complessivo di un’opera oltremodo frammentaria ed incoerente.
Basti pensare ad un
intro onirico dai contorni quasi fiabeschi che, tuttavia, dura troppo e non decolla mai; ad una “
Now” che sembra un bislacco incrocio tra i
Moonspell di “
Irreligious” ed i
Covenant (quelli senza K e senza il “
The” davanti); ancora, ad una “
Finally in the Abyss” in cui si abbracciano gli spettri (piuttosto sbiaditi, visti i risultati) dei cari vecchi
Katatonia e
Dimmu Borgir; da ultimo, alla conclusiva “
The Gods Are Beholding You”, il cui tetro giro di organo richiama alla memoria quello di “
Sabbat” dei grandissimi
Moon.
Di tutto un po’ quindi, con alcuni spunti degni di nota, ma senza una visione d’insieme in grado di rendere l’esperienza uditiva davvero appagante.
Peccato.
Con ogni probabilità, al rilascio di “
The Fireflowers Gate” va attribuito, per il suo creatore, un valore catartico ed un significato intrinseco che vanno oltre l’effettivo valore della musica in esso contenuta.
Io d’altro canto, che la musica mi limito banalmente ad ascoltarla, non posso che andar oltre una striminzita sufficienza.
Attendiamo comunque prossimi sviluppi con immutata fiducia.