I
Pallbearer hanno superato da tempo il livello di promessa emergente del movimento neo-doom contemporaneo, ed oggi possiamo tranquillamente considerarli una scintillante realtà consolidata.
Grazie ai tre album che hanno testimoniato la crescita del loro percorso artistico, i ragazzi di Little Rock (Arkansas) sono entrati a far parte del roster della prestigiosa
Nuclear Blast, per la quale esce il presente "
Forgotten days". Traguardo ben meritato, perchè lavori come "Foundations of burden" (2014) e "Heartless" (2017) sono prova inconfutabile dello stile elegante, emozionale, qualitativo, con il quale gli americani riescono ad interpretare una materia spesso ripetitiva come il doom metal.
Ma il presente lavoro, magistralmente prodotto da
Randall Dunn (Sunn O))), Earth), è un ulteriore passo avanti nella carriera del quartetto statunitense. Oltre alle consuete e sofisticate costruzioni doomy, nostalgiche ed avvolgenti, in questo disco scopriamo l'aggiunta di una vibrante tendenza verso il post-rock progressivo, quello più riflessivo e spirituale, con una leggerezza e complessità encomiabili (sembra una contraddizione nei termini, ma non è così...nda).
Un grande brano come "
Riverbed" coniuga infatti la severa possanza dell'heavy-doom Candlemass-iano, rallentato e drammatico, con squisite alchimie melodiche ariose e struggenti di ultima generazione, vedi nomi come Khemmis o Spirit Adrift. I Pallbearer ci mettono la loro articolata capacità strumentale e la voce limpida ed evocativa di
Brett Campbell, mai così efficace e nostalgico.
Ci sono passaggi profondamente Sabbathiani che alimentano la continuità stilistica con la produzione del passato, come il rifferama oscuro e Iommi-ano della title-track o il massiccio incedere di "
The quicksand of existing", i quali esprimono la solida consistenza heavy del neo-doom contemporaneo. Le vere sorprese arrivano però quando la formazione si avventura in territori di alta qualità emotional-post-rock, in particolare la lunga "
Silver wings" dove l'atmosfera di sofferenza diventa quasi soffocante nella sua lentezza da funeral-doom per poi elevarsi verso infiniti panorami Floydiani di ieratica intensità, oppure la liturgica ed ariosa "
Stasis" ricca di vibrazioni meste ed accorate o ancora la conclusiva "
Caledonia" che ribadisce e ricalca il mood pieno di sconforto e dolore che permea l'intero album ma con soluzioni molto più sognanti ed intimiste, rafforzate da magnifiche linee vocali e da un chitarrismo imperioso.
Il
Pallbearer-sound non è immediato, ma è molto denso. Gli aspetti epidermici risultano in minoranza rispetto quelli atmosferici ed evocativi. Si tratta di una visione più moderna del doom, intrisa di malinconia ed abbandono spirituale piuttosto che di tetro occultismo messianico, con stimolanti aperture trasversali che rendono l'ascolto impegnativo ma altrettanto affascinante.
Per la sua eleganza, per la sua intensità, per la sua ricerca di soluzioni alternative, per la sua eccellente strutturazione, questo è uno dei migliori lavori doom di questa difficile annata. Da possedere senza esitazioni.
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