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Info

Anno di uscita:2020
Durata:47 min.
Etichetta:Snowdonia

Tracklist

  1. ONODA HIROO
  2. UN INCENDIO VISTO DA LONTANO
  3. LA CHIAMATA
  4. TRYPTICH (COVER MAX ROACH)
  5. AMBURO SEI PAZZO
  6. MANIFESTO CANNIBALE
  7. BLU QUASI TRASPARENTE

Line up

  • Vittorio Nistri: electronics, keyboards, arrangements, lyrics
  • Simone Tilli: vocals
  • Alessandro Casini: guitars
  • Carlo Sciannameo: bass
  • Zeno De Rossi: drums
  • Cristiano Calcagnile: drums
  • Bruno Dorella: drums
  • Simone Vassallo: drums
  • Marco Zaninello: drums
  • Silvio Brambilla: drums
  • Lorenzo Moretto: drums
  • Pino Gulli: drums
  • Alfio Antico: vocals, percussion
  • Lalli: vocals
  • Cinzia La Fauci: vocals
  • Davide Riccio: vocals
  • Enrico Gabrielli: winds
  • Edoardo Marraffa: sax
  • Silvia Bolognesi: double-bass

Voto medio utenti

A lasciare il segno in questo album, più che la musica (di cui avrò modo di parlare in seguito) è l’attitudine dei Deadburger Factory che si declina in una cura maniacale per il dettaglio, tanto nella forma - il packaging e il booklet dell’album sono spettacolari, così come la documentazione a corredo - quanto nella sostanza (anche se un po’ troppo affine a certa sinistra nostalgica, forse anticapitalista e sicuramente “combattente”, almeno per la mia sensibilità di trentaquattrenne politicamente impegnato, liberale e moderato).

“La Chiamata” completa il dittico inaugurato con il precedente “La Fisica Delle Nuvole” (che in tutta sincerità non ho ascoltato) e ruota intorno all’immagine guida dell’album, quella di un druido allucinato dal fare sciamanico che si ritrova in un centro commerciale e suscita (o forse no?) l’interesse dei tanti clienti presenti, chini sui loro smartphone nel migliore - e forse un po’ abusato - immaginario contemporaneo, quello dell’io a discapito del noi (oggettivamente attuale come non mai).

Alla luce di tutto questo - non me ne voglia il collettivo - la musica passa quasi in secondo piano, in un tripudio di sonorità urbane che hanno i loro riferimenti nel progressive più spigoloso degli Area (“Tryptich”, “Tamburo Sei Pazzo”) o del Re Cremisi (difficile non pensarci ascoltando il sax della titletrack o le chitarre alla Robert Fripp di “Un Incendio Visto Da Lontano”), nell’eclettismo di David Byrne (“Onoda Hiroo”) e spesso anche nel rock nostrano colto e metropolitano (“Blu Quasi Trasparente” mi ha ricordato a tratti i Bluvertigo degli esordi).

Un’opera riuscita e complessa, caratterizzata da suoni chirurgici e da una perfetta alchimia di gruppo - nonostante la presenza di un totale di venti musicisti ripresi in diversi studi di registrazione in tutta Italia - ma impossibile da ridurre a un numero.

Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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