Cominciamo innanzitutto dicendo cosa NON È "
The Final Cut".
1) Non è un disco dei
Pink Floyd: i crediti in copertina dicono infatti chiaramente "
music & lyrics by Roger Waters performed by Pink Floyd".
David Gilmour e
Nick Mason (
Richard Wright è già fuori da qualche anno per dissapori con Waters) ridotti al rango di "special guests", con gli assoli di chitarra del primo che si possono contare sulle dita di una mano.
2) Non è assolutamente un disco rock, ma una sorta di piece teatrale/recitativa di Waters, a cui manca terribilmente il lato visivo per renderlo completo. A dire il vero, uscì una VHS a tema con alcuni brani del disco, ma nulla a confronto dell'allucinante/allucinato film di
Alan Parker tratto da "The Wall".
Bene, una volta chiarito cosa NON è "The Final Cut", si può cominciare a delinearne i tratti distintivi. Waters perde il padre in tenerissima età nella seconda guerra mondiale, proprio in Italia durante il famoso sbarco alleato ad Anzio. Se non vado errato, la tomba del genitore si trova ancora lì, esattamente nel cimitero militare di Cassino. Aggiungiamo che, nel 1982, ha luogo la guerra delle Falkland o delle Malvinas, a seconda della lingua dei contendenti, tra Inghilterra ed Argentina.
Il generale Leopoldo Gualtieri decide infaustamente che quelle rocce, abitate prevalentemente da pinguini, tornano ad essere territorio argentino, provocando la reazione di Margaret Thatcher, che spedisce immediatamente la flotta britannica alla loro riconquista.
Una guerra assurda, insensata, che costa la vita di migliaia di persone per il prurito di governanti col culo al caldo, e che segna la memoria di noi "boomers" (neologismo inventato dagli "sfigaters" millennials), tanto da ricordarlo come uno dei pochissimi eventi negativi nel decennio più felice della storia dell'umanità.
Di Waters si può dire tutto: può risultare antipatico o ripetitivo nelle sue ossessioni, ma la sua coerenza resta un argomento fuori discussione. Ancora oggi, a quasi 80 anni, è l'unica rock star che si mette di traverso rispetto alla ributtante propaganda orchestrata da media e governi, tanto da venire bannato in diversi eventi, con il beneplacito di suoi colleghi paraculi come
Peter Gabriel,
Eric Clapton,
Brian Eno, oppure il rivoluzionario da Risiko
Tom Morello (che preferisce esibirsi coi
Maneskin).
Leggendario il vaffanculo di Waters a
Mark Zuckerberg, definito un pericoloso idiota, sull'utilizzo di "
Another Brick In The Wall" come colonna sonora di uno dei suoi demenziali social, nonostante l'offerta di una somma di denaro che definire enorme sarebbe persino riduttivo.
"The Final Cut" è straordinario nelle orchestrazioni di
Michael Kamen, che si occupa anche di pianoforte e tastiere, così come nell'utilizzo di una tecnica rivoluzionaria di registrazione per l'epoca: il sistema olofonico di
Hugo Zuccarelli. Trattasi di una riproduzione sonora eseguita tramite l'utilizzo di uno speciale microfono, in grado di riprodurre la musica nello stesso modo in cui viene percepita dall'apparato uditivo umano, nelle stesse coordinate "spaziali", addirittura al di fuori della testa.
Le tematiche anti-belliche si rincorrono per tutta la durata dell'album, a partire da "
The Post War Dream", col famoso verso "
what have we done, Maggie what have we done to England?", uno dei diversi motivi per cui il disco viene letteralmente boicottato dalle radio occidentali. Ad una lunghissima "suite" intimista, anche se non dichiarata, che ricopre le prime nove tracce (tra cui la memorabile "
The Fletcher Memorial's Home"), fanno seguito gli ultimi tre pezzi; forse gli unici che possono essere definiti apertamente "rock". In particolare, "
Not Now John" spinge sul pedale dell'elettricità, ed infatti si tratta di un estratto che sarebbe dovuto comparire nel precedente "
The Wall".
La title-track e "
Two Suns In The Sunset" avrebbero il compito dichiarato dallo stesso Waters di portare all'elaborazione personale dell'ascoltatore, dopo aver metabolizzato le sue riflessioni messe in musica.
Non vi sarà nessun tour a supporto del 33 giri, non si sa se per volere di Roger che, fin dal titolo, lo battezza come capitolo conclusivo della saga Pink Floyd, oppure per il battente boicottaggio nei suoi confronti da parte del mainstream, a causa delle posizioni scomode ed anti-governative.
Ripeto, al di là di come la si pensi sulle idee di Waters, ancora oggi ed a distanza di 40 anni da "
The Final Cut", gli va riconosciuta una coerenza intellettuale che non ha eguali. Sempre contro il potere, sempre antitetico alla corrotta narrazione dei media, sempre sopra a quel "muro" che è diventato ormai un simbolo non più di alienazione, ma di resistenza alla menzogna camuffata da verità.
Si è perso lo stampo di artisti simili, e difficilmente potranno essere riprodotti epigoni con le medesime caratteristiche.
Cosa volete pretendere da un'epoca in cui gli "uomini" più influenti del pianeta rispondono ai nomi del già menzionato
Mark Zuckerberg, di
Elon Musk o
Bill Gates?
D'altra parte, il popolo ha sempre preferito Barabba a Gesù.