Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2006
Durata:42 min.
Etichetta:Rise Above
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. DRAGON’S DANCE
  2. SONG OF OUR DESPAIR
  3. WILLOW TREE
  4. WHEREVER SHE GOES
  5. VELOCITY RACES
  6. TO THE FIELDS
  7. BOUREE
  8. THIS IS THE WAY
  9. REALITY’S A FANTASY

Line up

  • Michael Tyack: vocals, guitar
  • Lo Polidoro: vocals

Voto medio utenti

Secondo album per i Circulus, lo stravagante collettivo di freaks britannici che si era messo in luce lo scorso anno con l’interessante debutto “The lick on the tip of an envelope yet to be sent”.
Siccome il disco esce nuovamente per Rise Above, qualcuno potrebbe distrattamente collegarlo a filoni come il doom o lo stoner, solitamente trattati dall’etichetta che fa capo a Lee Dorrian. Quindi è bene fare subito chiarezza, sottolineando con forza che i Circulus non hanno nulla a che fare con le correnti musicali hard’n’heavy.
Lo stile dei Circulus è invece una sorta di folk gentile ed etereo, poetico e crepuscolare, che affonda le radici nelle antiche tradizioni agresti e risuona di lontani echi medievali e rinascimentali. Soprattutto dipinge un mondo di pura fantasia popolato da elfi e folletti, fate angeliche e paladini immacolati, boschi incantati ed antri dragoneschi.
Non a caso il lavoro si apre con la gioiosa “Dragon’s dance”, tema che profuma di girotondi e sagre paesane, nella quale compaiono i veri protagonisti dell’album: flauti, liuti, trombette, tamburelli ed altri strumenti popolari ormai quasi in disuso.
I ragazzi di Londra sembrano sospesi a metà tra la puntigliosa ricostruzione etno-storica e la bizzarra goliardia hippie, immersi nella loro parte fino al punto di farsi sempre immortalare indossando abiti alla Robin Hood. Ed in effetti più che dai reali avvenimenti del passato britannico, il gruppo sembra ispirarsi alle saghe, alle leggende ed ai miti locali, mischiando insieme la magica Avalon e gli spiritelli della foresta.
Da tali premesse nascono canzoni leggiadre e carezzevoli, dolci ballate pastorali eredità degli scomparsi cantastorie girovaghi, romantiche melodie sussurrate e fini trame barocche, morbide tastiere ed atmosfere frizzanti e cristalline.. Talvolta capita di pensare ai Circulus come a dei Jethro Tull privi del lato elettrico, vedi “Song of our despair”, ma oltre al largo uso del flauto non esistono reali similitudini. I londinesi sono pacifici e sognanti menestrelli e non possiedono neppure l’ombra dell’attitudine provocatoria che aleggiava intorno ad Anderson e soci.
Dunque i Circulus realizzano un lavoro ancor più rilassante, lunare e delicato del debutto, un disco quasi new age-folk. Ed allora ci si domanda perché legarli al panorama rock e non proporli come brillante realtà della etno-music.
La risposta si trova nella sottile vena psichedelica che sovente rimane nascosta in sottofondo. I musicisti la lasciano affiorare a piccole dosi in certe rifiniture ariose, in alcuni passaggi languidi e struggenti che giustificano la loro dichiarata venerazione per i Pink Floyd, ma soltanto nel finale decidono di manifestarla in maniera completa. La lunga “Reality’s a fantasy” è infatti una spirale onirica dai tratti leggeri e sfumati, tutta giocata su un tappeto di liquide tastiere dal timbro antico e fuori moda.
Detto di questo bel momento psichedelico, aggiungere altro è superfluo. Un lavoro di questo tipo, per quanto interessante e ricco di piacevoli spunti, ha nella sua singolarità un’arma a doppio taglio. Da un lato lo allontana da tutte le nicchie conosciute, dall’altro però lo destina a rimanere sconosciuto al di fuori della ristrettissima cerchia di cultori entusiasti.

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