Il nuovo album di
Steven Wilson esce a quattro anni di distanza dal controverso
“To The Bone”, ma non è poi così diverso da quest’ultimo. Se infatti non avevate apprezzato la “svolta 80s” dell’artista britannico, non sarà di certo
“The Future Bites” a farvi cambiare idea.
Il full-length è oggettivamente una goduria per le orecchie (ascoltare per credere), ma sono le composizioni a non convincere appieno. Dopo la breve ed enigmatica
“Unself”,
Steven Wilson ci “stordisce” con
“Self”, un frullato un po’ indigesto a base di Peter Gabriel, Talking Heads, David Bowie e King Crimson, prima della più intima
“King Ghost” di scuola Talk Talk. Se
“12 Things I Forgot” suona come una moderna
“Lazarus” dal sapore pinkfloydiano,
“Eminent Sleaze” strizza l’occhio alla black music, anticipando un altro tributo ai Pink Floyd del periodo
“A Momentary Lapse Of Reason”/”The Division Bell” dal titolo
“Man Of The People”.
“Personal Shopper” continua a sembrarmi la traccia più interessante del lotto, sia per la struttura coraggiosa che per il riuscito mix di sonorità a cavallo tra Art Of Noise, Joy Division e Pet Shop Boys (con un cameo di Elton John - con tutto il rispetto per Sir John - del tutto ininfluente sul risultato finale). La lineare
“Follower” sembra provenire direttamente dalle session del sopraccitato
“To The Bone”, e sfocia nell’avvolgente ma soporifera
“Count Of Unease”, un tripudio di pad sintentici Anni Ottanta.
Se
“The Future Bites” crescerà con gli ascolti ancora non so dirlo, ma l’impressione è che
Steven Wilson abbia (finalmente?) fatto pace con sé stesso e con il
music business. Che poi questo sia un bene o meno per la sua musica lo lascio valutare a voi…
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