Per festeggiare il primo decennio di attività, la
Magnetic Eye Records ha deciso di realizzare una serie di live album che vedono protagoniste alcune bands di punta del proprio roster.
In questo caso tocca ai doomsters svedesi
Domkraft, che possiamo inserire nel filone post-Sabbathiano con forti influenze sludge e psycho-noise.
I brani presenti in scaletta sono tratti dai due full-length della formazione di Stoccolma: "The end of electricity" (2016), "Flood" (2018) e dall'Ep "Slow fidelity" uscito nel 2019.
Lo stile è gargantuesco, da pesi massimi del doom, molto opprimente e massiccio. I riff di scuola Black Sabbath vengono inseriti in un contesto acido-psichedelico che ricorda Sleep, Neurosis, Yob, Sourvein, Conan, con un passo lento e sfibrante che si apre a nervature di potenza heavy minacciose ed intimidatorie.
L'iniziale "
The rift" è un monolito doom/sludge che chiarisce l'attitudine mandatoria del terzetto scandinavo: ossessività poderosa ed atmosfera apocalittica ed asfissiante. Si notano echi di Electric Wizard nei passaggi più acidi e stonerizzati, con la chitarra di
Martin Widholm che assume contorni psycho-heavy molto accentuati. Nel finale, il brano sfocia quasi nel noise urticante, a dimostrazione che la band punta soprattutto sull'impatto annichilente e sullo stordimento tenebroso ed ossianico.
I
Domkraft evidenziano comunque una venatura psichedelica che si esprime in reiterazioni narco-sludgy, vedi la torrenziale e lisergica "
Through the ashes". Riff caterpillar, atmosfera feroce e lunghe dissertazioni solistiche fangose, per un episodio molto influenzato dagli Sleep e dalla interpretazione più torbida del filone neo-doom.
Bene anche la voce di
Martin Wegeland, specie nelle parti urlate ed aggressive, che aggiunge un tocco di drammaticità all'andamento elefantiaco delle canzoni.
Nel proseguio del concerto (e del disco..) la band accresce gli aspetti acidi, tossici ed ipnotici ("
The watchers", "
Meltdown to the orbs") pur confermando la struttura stordente e spezzacollo della propria musica. Il mood post-sabbathiano viene recuperato in un pezzo raw-doom come "
Flood", un vero massacro di groove infernale e tossico, fino a giungere al gorgo estremista ed ultra-saturo "
Landslide", una sorta di Hawkwind suonati con il tonnellaggio di Grief o Ramesses.
Lavoro per amanti delle derivazioni extreme-doom, per coloro che desiderano essere schiacciati dal peso di volumi stordenti ed abissalità psicotica. Una buona testimonianza live per una formazione competente e capace, magari non particolarmente fantasiosa ma che dal vivo riesce ad impressionare positivamente grazie ad un sound serrato, ipnotico, drogato e dannatamente heavy.
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