Dopo l'interessante debut sulla lunga distanza,
Void, di ormai tre anni fa ritornano con un altrettanto denso lavoro i particolarissimi Wolvennest, autori di una originale interpretazione del black metal in chiave psichedelica. Ai nostri piace spingersi verso territori selvaggi e poco battuti, sperimentando soluzioni che rendono il black metal presente nelle loro composizioni praticamente irriconoscibile. L'intreccio di suoni sintetizzati dal forte sapore acido ed elementi ambient ritualistici riesce a conferire alle partiture contenute in
Temple un'atmosfera sabbatica davvero suggestiva che, tra l'altro, si sposa in modo davvero indovinato con il suono tagliente ma zanzaroso delle chitarre, trasfigurandole in una direzione talvolta quasi noise. Notevole la produzione che mette in gran risalto tutto il lavoro ritmico di basso e batteria che con grande personalità sostiene l'intera impalcatura di Temple, conferendogli una consistenza altrimenti non così scontata data la fluidità che contraddistingue il sound dell'ensemble belga. Se aggiungiamo a questo set di elementi l'onnipresenza di tastiere (addirittura un theremin?!?) capaci di amalgamare il tutto e assoli sognanti distribuiti con dovizia per tutta l'ora e un quarto del disco, otteniamo un album davvero stratificato a livello di arrangiamenti capace di trasportare l'ascoltatore in un'altra dimensione e cullarlo all'insegna di visioni tanto allucinate e deliranti quanto suggestive e oniriche.
L'uso delle voci va annoverato come l'ennesimo elemento in grado di fornire ulteriore spessore e struttura al già ricco sound dei nostri e, che si tratti della profonda ed evocativa voce maschile del drummer/pianista Déhà (si sentano, ad esempio, le ottime "
Swear to Fire", "
Succubus" e "
Disappear") o di quella più teatrale e versatile della tastierista Shazzula ("
Incarnation", "
All that Black", "
Souffle de Mort"), il risultato è sempre di grande impatto sia dal punto di vista emotivo che narrativo con ottime linee pensate, in base al pezzo in cui sono inserite, per fungere da oscure e ammalianti litanie o per esprimere un mood riflessivo ed introspettivo.
Il coacervo di influenze che caratterizza il qui presente ed ottimo
Temple è scrupolosamente messo a punto per enfatizzare quando serve ogni componente, da quella più atmospheric black (soprattutto per la resa sonora delle chitarre) a quella più doom, capace di donare al tutto un'atmosfera ancora più stregata e fumosa che con le parti più psichedeliche dà vita ad un abbinamento di influenze che rende il songwriting del disco a tratti davvero entusiasmante. Del resto per far funzionare un disco dal minutaggio così imponente - si parla di 77 minuti - è necessario, oltre ad elaborare un sound riconoscibile, dotarsi di una certa varietà in fase di composizione, cosa che in
Temple avviene in modo puntuale pur essendo presenti alcune tracce - anche ottime per le idee contenute - che si dilatano un po' in quanto a durata, allungando un tantino un brodo in ogni caso decisamente saporito.
Se dovessi fare un paragone direi che il progetto più affine ai Wolvennest che mi viene in mente sono i cugini olandesi Urfaust anche se, a questo giro, sembra che i belgi siano riusciti a dare forma ad un lavoro meglio concepito e messo a fuoco, capace di unire grande gusto negli arrangiamenti ad un songwriting efficace ed ispirato quanto basta a risultare pienamente convincenti.
Si tratta di un'opera certamente complessa ma che sarebbe controproducente cercare di analizzare ed apprezzare tramite un ascolto frontale ed eccessivamente concentrato: l'idea migliore è probabilmente quella di seguire le venature che l'album stesso presenta, lasciandosi trasportare in ciò che esso vuole evocare... vi garantisco che il trip è assicurato.
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