Giovani, carini, vagamente hippie, in attività da poco tempo, gli australiani
Kimono Drag Queens mi hanno ricordato subito uno di quei collettivi musicali di gran moda nella seconda metà degli anni '60. La generazione del "peace and love", pacifismo, amore cosmico, tanta droga per nutrire la mente e tanta musica per nutrire lo spirito.
Ora, non so se i ragazzi di Sidney seguano esattamente i dettami della vecchia "freak generation" (anzi, ne dubito..), ma che la loro musica provenga direttamente da quel contesto ideologico è di un'evidenza lapalissiana.
Psycho-pop, acid-rockblues, vintage flower-power, chiamatelo come volete ma questi sette giovanotti hanno congegnato un disco che è una ventata di gentile freschezza retrò-rock.
Nel loro stile possiamo trovare un mare di citazioni: dai Gong ai Led Zeppelin, dagli Iron Butterfly ai King Gizzard, dagli ZZTop ai Vibravoid, ma le sei canzoni presenti in questo album d'esordio sono dei piccoli gioiellini di eleganza suadente e brillantezza nelle soluzioni.
Splendidamente curate le parti vocali, sempre lunari e carezzevoli, con un retrogusto malinconico da veterani della scena, come nell'iniziale title-track che è davvero una incantevole trip-song da geniali artigiani del sound. Inizio rarefatto e soffice, con atmosfera da "figli dei fiori" post-sballo, linee vocali morbide ed accattivanti, chitarra liquida ed improvvisa fuoriuscita nel rockblues turgido. Sorprendente mix di delicatezza ed energia.
"
Hunters in the snow" è un altro hit di neo-psichedelia contemporanea: gli echi spaziali, la solidità ritmica, l'atmosfera rilassante ma pronta ad issarsi intorno al solismo pungente, rendono questo brano uno dei migliori in scaletta.
Più soffice ed eterea "
Delilah", dal timbro molto sixtiees, mentre "
Wild animals" è nuovamente una perla di leggiadra psichedelia ariosa. La melodia accattivante e nostalgica conduce ad una parte narco-groovy dalla ritmica battente ed incalzante. Un tiro agrodolce alla maniera di Datura4, Joy, Supergiant, ma con vibrazioni della east-coast di molti decenni fa.
L'up-tempo orecchiabile "
Evil desires", molto vintage e molto trascinante, introduce alla dimensione sognante ed orientale di "
Willy's world", un mantra acido/ipnotico che cresce come una spirale di fumo aromatico. Intrecci vocali, dilatazioni Floydiane, suoni limpidi e riflessività intimista, tensione rock e morbidezza onirica. Altro pezzo pienamente riuscito, nel suo genere.
Questa formazione australiana mi ha decisamente impressionato. Hanno il potenziale per diventare rilevanti in un filone di nicchia come la neo-psichedelia. Ottimo uso degli apporti vocali (tre cantanti), delle percussioni, delle tastiere, degli effetti space, dell'equilibrio tra gentilezza e grinta, ma soprattutto grande cura del songwriting e freschezza di idee. Promossi a pieni voti.
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