Quarto ed ultimo capitolo della serie "
Day of doom live", che vede protagonista il quartetto australiano
Horsehunter. La band di Melbourne ha all'attivo due lavori, "Caged in flesh" (2014) e "Horsehunter" (2019), costituiti da lunghi brani in stile sludge-metal ma con interessanti divagazioni free-form dal retrogusto stoner e fumoso.
Un sound cattivo, molto pesante, viscoso e stordente, pieno di distorsioni lancinanti e ritmiche mastodontiche, che ben si presta ad un impatto live monolitico e senza compromessi. Una specie di incrocio tra Electric Wizard ed High on Fire, tanto per intenderci. Roba per stomaci forti ed orecchie allenate, dove la pesantezza heavy diventa quasi tangibile fisicamente.
Tre dei quattro brani presenti nell'album superano abbondantemente i dieci minuti, sviluppandosi come colate di acciaio tetro e solforoso. La voce cavernosa di
Michael Harutyunya aggiunge cruda spietatezza, mentre il solismo delle chitarre è convulso ed ossessivo alla maniera di Matt Pike.
Basta l'iniziale "
Bring out yer dead" per capire di che pasta granulosa è fatto questo gruppo. Un crogiolo stuporoso di ritmiche ultra-doom, dolorosa intensità post-metal, fangosi deragliamenti sludgy, atmosfera apocalittica, rallentamenti funerei ed improvvise impennate solistiche noise. Massimo tonnellaggio, un wall-of-sound disturbante che annichilisce tutto.
"
Nuclear rapture" si mostra ancora più estrema e noise-core, genere Eyehategod, mentre "
Witchery" introduce un groove maggiormente stonerizzato, pur sempre in un contesto da sfiancamento metallico.
L'ultima traccia è un manifesto già nel titolo: "
Stoned to death". Sedici minuti di montagna sonica da scalare. Emerge comunque una certa abilità degli aussie di non fossilizzarsi stolidamente sullo stesso tema. Ci sono variazioni ritmiche, un buon ventaglio di riff (molto sabbathiani, ovviamente), la capacità di tenere desta l'attenzione dell'ascoltatore pur portandolo sull'orlo dello sfinimento. Il solismo al tritolo della parte finale è davvero notevole, ma tutto il brano funziona bene. Un crescendo schiacciasassi, una carica di Mammut assetati di sangue.
Delle quattro formazioni impegnate nel progetto della
Magnetic Eye Records, gli
Horsehunter sono certamente i meno classici in campo neo-doom. Più votati allo sludge urticante ed all'extreme-heavy, riescono comunque a convincere per la loro attitudine di panzer sonici. Una band adatta a chi cerca sensazioni forti e stordimento a manetta.
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