Da affezionato estimatore di
Billy Sherwood e degli Yes è per il sottoscritto abbastanza scontato accogliere il
super-progetto Arc Of Life con grande curiosità e altrettanta aspettativa, ed è forse proprio il gravoso “fardello” di quest’ultima a schiacciare irrimediabilmente una prestazione artistica non pienamente soddisfacente.
Il ricco
curriculum di
Sherwood (Lodgic, World Trade, The Key, Conspiracy e Yes, oltre alla carriera solista) e
Jay Schellen (World Trade, Unruly Child, Hurricane, GPS) e l’incoraggiante
pedigree più recente di
Jon Davison (attuale voce degli Yes),
Jimmy Haun (pure lui collaboratore degli stessi Yes) e
Dave Kerzner (ex-Sound of Contact, considerato un talento emergente della scena
new-prog) consentivano, infatti, di auspicare per “
Arc of life” un ruolo da
top album di settore, e invece,
ahimè, finiscono per collocarlo nella meno edificante categoria delle occasioni perse.
Gli Yes più
pop-wave e certi Genesis appaiono i principali riferimenti di un lavoro nel complesso abbastanza deludente, privo di guizzi realmente all’altezza della situazione, risollevato solo da rari momenti di vivace ispirazione.
L’impressione emotiva derivante dall’ascolto esterna un senso di “forzato” e plastificato piuttosto insistente, e sebbene ovviamente vocazione, gusto esecutivo e competenza non siano in discussione, al programma mancano, per essere chiari, la follia e la sensibilità armonica di un capolavoro come “
90125” o di un’eccellente replica come “
Big generator”.
Il paragone appare fatalmente impegnativo e forse non del tutto congruo, ma anche cercando di “abbassare l’asticella” delle attese, il tenore espressivo delle composizioni rimane comunque eccessivamente statico e superficiale.
Salviamo, dunque, le costruzioni vocali di
Davison (un’efficiente “controfigura” di
Jon Anderson) e
Sherwood (dalle inflessioni vagamente
Gabriel-esche) e una manciata di canzoni (“
Life has a way”, “
Just in sight”, “
Locked down”, "
Therefore we are"), mentre per il resto del programma è necessario parlare di stucchevole ripetitività (“
You make it real”), momenti interlocutori (la melodia "semplicistica" di “
I want to know you better”, “
The end game”) o, al limite, di una forma di gradevolezza (non male, per esempio, l’ironica “
Talking with Siri” e i bagliori di The Police e Magazine affioranti in “
The magic of it all'”) mai davvero catalizzante.
Il viaggio sonoro degli
Arc Of Life inizia con un passo un po’ claudicante, e poiché tale incedere non si addice per nulla alla loro reputazione, non rimane che confidare in una futura andatura più spedita e dinamica, in grado di trasformare la “nostalgia” per i fasti passati di questo tipo di musica in un vitale impulso per il suo presente.
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