Può una band suonare blackned thrash prog metal? Secondo i
Demoniac sì. O perlomeno, questo è quello che pensano di poter fare. La realtà dei fatti, invece, è ben diversa, in quanto il risultato finale è davvero inascoltabile!
Cerco di spiegarvi meglio cosa ha cercato di proporre il quintetto cileno: l’aggressività del thrash metal più selvaggio, quello pieno di influenze black, espressa soprattutto dalla sezione ritmica, sempre in up tempo e con pochissime variazioni, e dalla voce sguaiata di
Javier Ortiz, mischiata a soluzioni armoniche anomale (“
Extraviado”, è un pezzo completamente avulso a tutto il resto dell’album, con sonorità quasi jazz, con tanto di fiati), dettate soprattutto dal lavoro di chitarra dello stesso
Ortiz e di
Young.
Sulla carta una cosa del genere potrebbe anche funzionare, ma poi bisogna essere in grado di trasporla in musica, e vi assicuro che ai
Demoniac questa cosa non è riuscita per niente! Le melodie di chitarra sono troppo trallalero trallallà, sembrano uscite da qualche canzoncina per bambini e dimostrano appieno quanto i nostri abbiano le idee decisamente confuse, e soprattutto quanto abbiano fatto il passo più lungo della gamba.
La title track, che chiude l’album, è la dimostrazione lampante della superbia e della poca modestia dei cinque ragazzotti cileni: una sorta di suite di ben venti minuti, in cui emerge tutta l’immaturità compositiva che sarebbe invece servita per sostenere un brano di questa durata così considerevole.
C’è qualcosa da salvare in “
So it goes”? Decisamente no, e mi stupisce come abbia fatto la
Edged Circle Productions a prendere la decisione di ristampare il disco in CD e vinile (originariamente uscito nel 2020 per la Dissonant Death Records soltanto in cassetta), visto che di contenuti validi non ce n’è traccia. Bocciati!
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