La prima considerazione balenata nella mia testolina durante l’ascolto di “
Tinnitus” è stata più o meno:
“Grazie,
Profond Barathre, per averci mostrato una volta ancora quanta bellezza si annidi nella semplicità”.
Mi rendo conto dell’andazzo insopportabilmente ampolloso e retorico che la recensione sta prendendo, ma la colpa non è mia: è del disco in esame!
Un disco che ci insegna come la profondità del
sound non vada perseguita in forza di orpelli e sovraincisioni, e come, addirittura, nemmeno il cantante sia indispensabile per dar voce alle corde dell’anima -a proposito di retorica spiccia-.
Il nuovo parto discografico della compagine di
Neuchâtel è “solo” questo: tre ragazzi che suonano in presa diretta in un piccolo studio di registrazione. Nulla di meno, nulla di più.
Lo spunto narrativo da cui trae ispirazione il
platter è altrettanto basilare: “
Tinnitus” intende rappresentare in note il lento trapasso di un vecchio animale.
E se questa immagine vi fa sorgere un parallelismo con gli
Harakiri for the Sky e i loro
artwork , sappiate che si tratta di un accostamento nient’affatto peregrino.
Entrambe le formazioni, a voler ben vedere, puntano forte sull’aspetto emotivo del
post black metal, veicolano con rara efficacia sentimenti quali tristezza, malinconia e senso di perdita, ed incanalano tutto ciò in pezzi che proprio non riescono ad arrestarsi prima degli otto minuti di durata.
Le divergenze invece, oltre alla già citata mancanza di
vocals, risiedono perlopiù nell’approccio compositivo e strumentale: laddove gli austriaci si lasciano talvolta andare a soluzioni complesse e raffinate, gli svizzeri mantengono immancabilmente un’attitudine schietta e verace.
I brani di “
Tinnitus” si sviluppano infatti attorno a una manciata di idee, a pochi
riff, a dinamiche che si dipanano in modo lento e deliberato, a strutture cicliche dall’andamento quasi ipnotico. Eppure, anche grazie ad una produzione tanto organica quanto equilibrata, sapranno disvelare nuove sfumature ad ogni ascolto -consiglio: in cuffia e ad occhi chiusi-.
La bellezza nella semplicità, si diceva poco sopra.
Va da sé che in questi tempi frenetici, in cui la soglia d’attenzione dell’ascoltatore medio va dai 20 ai 30 secondi, un'opera strumentale composta da cinque brani per quasi un’ora di musica possa incontrare l’interesse di pochi(ssimi).
Ma noi, in questo glorioso Portale, non ci curiamo affatto di riscontro commerciale, appetibilità della proposta o aderenza della stessa ai canoni di gradimento del metallaro moderno. Noi ci basiamo sulla qualità… stavo per scrivere “e sulla capacità di suscitare emozioni”, ma così facendo avrei sforato il limite massimo di retorica da quattro soldi accatastabile in un unico articolo.
Baggianate a parte, la proposta dei
Profond Barathre sarà sì per pochi, ma quei pochi si troveranno a stringere fra le mani un piccolo grande gioiello
underground.
Gli altri, beh… prima o poi uscirà un nuovo
album dei
DragonForce, no?
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