Quasi a voler recuperare il tempo perduto, i
Memoriam di
Karl Willetts danno alle stampe il loro quarto album in cinque anni accasandosi presso la
Reaper Entertainment in quanto conclusosi il precedente contratto con la
Nuclear Blast con la pubblicazione di
“Requiem for manikind”.
Sarà un caso, ma l’accasarsi presso una nuova etichetta coincide con qualche piccola novità nel sound degli inglesi. Chiamatela evoluzione o passo in avanti oppure come meglio credete, ma durante l’ascolto di
“To the end (not final)” si sente il tentativo della band di slegarsi – o di allentare i legami – con l’ingombrante eredità dei fu
Bolt Thrower.
Certo il cd parte con una canzone che più che mai si ricollega a cotanto illustre passato, l’opener
“Onwards into battle” toccherà le nostalgiche corde dei vecchi fanti di prima linea del death metal forte di un riff tanto cadenzato quanto bellicoso invitandoci a cantare il refrain insieme al vecchio
Karl, ma nel prosieguo dell’ascolto si nota una seconda, diversa e più “moderna” anima (virgolettato d’obbligo, tenetelo a mente sia durante la lettura che durante l’ascolto del cd), farsi strada nella nuova fatica dei
Memoriam.
Così come non mi sarei mai aspettato di ritrovare la band alle prese con un registro marcatamente dalle fosche tinte doom come accade in
“Each step (one closer to the grave)”, un brano cadenzato e solenne che mi sarei aspettato nelle corde degli
Asphyx ma non in quelle degli inglesi ma che funziona perfettamente sia che venga preso singolarmente, sia che venga valutato nell’economia dell’intero lavoro.
Faccio un passo indietro e ritorno a quell’anima più “moderna” che vi accennavo poco sopra, gli echi di queste nuove aperture li troviamo nella titletrack, in
“Vacant stare” ma soprattutto in
“Mass psychosis” che con le sue dissonanze è sicuramente la più sperimentale del lotto.
La bella e conclusiva
“As my heart grows cold” riporta i Memoriam su livelli più old school giocando con un registro dinamico ma in cui non manca una sfumatura sofferta e malinconica per quello che è uno dei punti migliori di
"To the end (not final)”.
In passato non sono stato tenero nei confronti della creatura di
Willetts & Co., ma questa volta sono riusciti a creare un lavoro più intrigante e sfaccettato, in cui viene premiata la voglia di osare e di guardare in avanti gestendo con più leggerezza il “fattore nostalgia”.
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