I pupilli di Michael “Spiritual” Amott, dopo un rarissimo ed introvabile split proprio con i Beggars su Southern Lord, giungono finalmente al debutto su lunga distanza, prodotti da Fred Estby (Dismember) e pubblicati dalla label di Lee “Cathedral” Dorrian. All’impressionante schieramento dobbiamo aggiungere il fatto che Amott abbia scelto proprio il cantante/chitarrista Janne per sostituire nella sua band il partente Spice, intenzionato a dedicarsi ai suoi Mushoom River Band. Quindi grande stima da parte di tutti per questo power trio di barbuti svedesi. Giustificata? Direi proprio di si. I
Grand Magus hanno un identità precisa all’interno di una scena spesso accusata di essere troppo uniforme, propongono con forza e lucidità spesso heavy rock blues unito a notevoli dosi di doom per formare canzoni robuste, torride, potenti e calde come lava.
Per inquadrarli meglio potrei dire che a tratti affiora lo spirito di Zakk Wylde nei riffoni ultrabluesy di “Black hound of vengeance” e “Generator”, dove la lead vola alto e la voce, pur al vetriolo, crea un atmosfera di romantica drammaticità. In altri passaggi (Coat of arms) vi sono similitudini con il sound sporco e bastardo degli Half Man, altri seguaci svedesi dell’hard blues, ma non vanno molto oltre alla somiglianza tra i rispettivi cantanti, entrambi molto evocativi.
In materia di doom il gruppo segue la strada “spirituale” tracciata da Wino e i suoi Spirit Caravan, quindi nessuna cadenza sepolcrale bensì un mood melodico unito a riffs scolpiti nella pietra, in questo senso “Never learned” e “Black hole” sono esemplari. La prestazione del trio, e di Janne in particolare, diventa favolosa quando le due anime, blues e doom, si fondono in corposi brani settantiani di ispirazione Mountain e si uniscono ad un metal che definirei “spaziale” come nell’opener “Gauntlet” e nel manifesto dichiarato “Mountain of power”. Proprio la potenza heavy metal, del quale sono convinti appassionati, ed il feeling seventies sono il marchio di fabbrica che toglie questo gruppo dal calderone dei mediocri. Debutto eccitante, inattaccabile da accuse di tendenze nostalgiche, anzi proiettato verso stimolanti orizzonti futuri sempre che l’ingresso del leader nella corte di Amott non pregiudichi la già intuibile crescita del gruppo.
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