Da Cleveland, nello stato dell’Ohio (seppur ora residente in una delle roccaforti del Country più all’acqua di rose e vicino ai dettami della Pop music, ovvero Nashville) proviene il cantautore
Austin Stambaugh, con un sound molto vicino ad un Folk cupo e minimale, solo voce e chitarra (alla
“American Recordings” di
Johnny Cash, per darvi un’idea chiara della musica), piuttosto che al Country tipico della terra dello Zio Sam.
Già da queste poche righe introduttive potete capire come in quest'occasione trattiamo di musica ben diversa da quella che abitualmente è presente in questo portale.
Non me ne voglia questo novello Folk songwriter, ma questo
“The Magnolia Sessions” è un lavoro un po’ piatto e generico, nel quale la ripetitività viene presto a galla, peccando quindi di longevità.
Le belle idee non mancano, la voce (croce e delizia di un’ugola così sofferta e Blues prima maniera) e la volontà di unire (o per lo meno tentare) vari generi della tradizione popolare statunitense, oltre ad alcune atmosfere crepuscolari sono tutti elementi che giocano a favore di Austin.
Peccato che ciò va a scontrarsi con due elementi che azzoppano il lavoro in questione: da un lato c’è una certe ripetitività intrinseca nelle varie strutture delle canzoni e in seconda istanza, la scelta di relegare in secondo piano (ma spesso anche in terzo piano….) la sua chitarra che quasi sempre viene completamente sovrastata dalla sua voce sentita e sofferta. Un gran peccato visto che i giri e le melode riuscite non mancano, da ascoltare la malinconica
“Only One Can Do” o la bluesey
“I Still Wonder” che rappresentano due piccoli bijoux di Folk rustico e rurale.
Il resto potrebbe ricordare velatamente una versione più spoglia (ma anche molto meno ispirata) degli ultimi lavori del già citato
Johnny Cash (
“American V: A Hundred Highways” del 2006 e
“American VI Ain't No Grave” del 2010), ma mancando completamente di tutto quel pathos intimo e crepuscolare.
Arrivati alla fine con l’apprezzabile
“Come On And Look At What You've Done” rimane un certo dispiacere di fondo, visto che le idee ci sarebbero ma non sono quasi mai sfruttate fino in fondo e le potenzialità rimangono quasi sempre completamente inespresse.
La formula adottata così spoglia e minimale è una via sicuramente impervia per chiunque si cimenti, inoltre ho trovato stucchevole il mettere come sottofondo tra una canzone e l’altra il canto delle cicale, come se ciò rendesse un album più campagnolo e atmosferico…
Spero che nelle uscite
Austin Stambaugh sappia valorizzare meglio la sua voce, in caso contrario, il suo sarebbe davvero un talento sprecato.
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