La carriera, ormai quasi ventennale, degli svedesi
Loch Vostok, è sempre stata contrassegnata da alti e bassi e continui cambi di line-up, che non hanno mai permesso alla band di Uppsala di avere quella continuità necessaria per raccogliere quello che, stando a guardare la loro testardaggine (siamo all’ottavo album in studio!), forse avrebbe anche meritato.
Negli ultimi anni poi, rispetto agli esordi (si pensi a lavori come “Destruction Time Again” del 2006 o il successivo “Reveal No Secrets” del 2009), il combo scandinavo, guidato come sempre dai due chitarristi
Teddy Moller e
Nicklas Kupper, ha semplificato parecchio il proprio sound, passando da un iniziale extreme progressive/melodic-death, ad un più accessibile e melodico prog-power che, in questa ultima fatica discografica, intitolata
Opus Ferox: The Great Escape, trova la sua massima espressione.
Il nuovo disco dei
Loch Vostok è, nel complesso, un lavoro qualitativamente valido, in cui, a parte qualche episodio poco convincente, come la semi-ballad
Seize The Day, in cui partiture quasi pop cercano, riuscendoci solo parzialmente, di inserirsi forzatamente in un contesto tipicamente prog metal, ciò che prevale è la cura per le composizioni melodiche, risaltate fino all’inverosimile dagli arrangiamenti delle chitarre e da una sezione ritmica per lo più sincopata, ad opera del bassista
Patrik Janson e dell'ottimo drummer
Lawrence Dinamarca.
Complice poi, anche il timbro del nuovo validissimo singer
Jonas Radehorn (a proposito di continui cambi di formazione) i nostri, nelle tracce di questo nuovo disco, piuttosto che esplorare territori estremi, come una volta, virano verso lande più tradizionali, somigliando maggiormente a bands come i connazionali Evergrey (si pensi alla opener
The Freedom Paradox) o come i norvegesi (ormai purtroppo scomparsi da tempo) Pagan’s Mind, di cui ho avuto l'effimera sensazione di ascoltare finalmente un nuovo album, in occasione di tracce quali
Enter The Resistance,
The Glorious Clusterfuck o
When The Wolves Have Eaten Everything, mentre brani come
Disillusion e
Galacticide potrebbero riportare alla mente vagamente e con un pò di immaginazione, i nostri DGM ma ovviamente, con molta meno classe. Del passato melodic-death è rimasto solo qualche sprazzo, grazie soprattutto al growl di
Teddy Moller piazzato qua e la all’interno dei brani, o per merito di certe partiture tiratissime, presenti in pezzi come
Generation Fail o nelle conclusive
Save You e
Black Neon Manifesto.
Questa nuova direzione musicale intrapresa dagli scandinavi, iniziata già col precedente Strife (2017), si rivela tutto sommato una decisione azzeccata poichè, fatta eccezione per i primissimi e apprezzabili lavori dei nostri, i
Loch Vostok da tempo non riuscivano più a convincere con il loro sound troppo eterogeneo, talvolta al limite del confusionario.
Opus Ferox ha probabilmente messo un freno al caos che regnava nello stile della band, e lo si può considerare come una sorta di “reset totale” da cui ripartire, un nuovo inizio, che forse renderà il combo di Uppsala meno originale di una volta ma che, tutto sommato, è probabilmente la scelta strategicamente migliore per permettere ai nostri di proseguire la loro strada, a patto che riusciranno a trovare una maggiore stabilità di formazione.
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