Volutamente o meno, è un dato di fatto che Robb Flynn si sia sempre ritrovato a seguire i trend metal del momento, e così la sua carriera, indubbiamente gloriosa, ha percorso svariate fasi e attraversato disparati generi musicali. Chiusa la parentesi Vio-lence in pieno periodo thrash, il camaleontico Flynn diede vita ai Machine Head, che debuttarono con il botto grazie ad un "Burn my Eyes" che usciva nel momento giusto e con il suono giusto, in anni in cui il vecchio e polveroso thrash andava morendo, soppiantato da un meno spontaneo e stradaiolo nuovo sound, capitanato dai Pantera e portato avanti dalle nuove leve. Da lì in poi i Machine Head cambiarono sound, persero i primi fans, ne acquisirono di nuovi, e continuarono in un modo o nell'altro a portare avanti la propria musica con un buon seguito. Oggi, nel 2007, era assolutamente prevedibile un ritorno alle sonorità degli esordi, auspicato dagli amanti di "Burn my Eyes", e così è stato. Questo "The Blackening" altro non è se non uno spudorato passo indietro verso il groovy sound che la maggior parte dei nostri lettori ricorda, non fosse per la durata, veramente eccessiva, delle canzoni. Oltre un'ora di musica, concentrata in soli otto pezzi, è davvero un mattone di difficile digeribilità. Fare un'analisi minuziosa del disco è difficile, e forse inutile; che sia ben prodotto, ben suonato e composto di canzoni notevoli, è indubbio, dato che non siamo alle prese con un gruppo di pischelli al debutto discografico. Quello che dividerà gli ascoltatori saranno le motivazioni "etiche" di un clamoroso passo indietro del genere; chi li aveva adorati alla follia (e sono tanti) nella prima metà dei '90 non avrebbe potuto chiedere di meglio, ma chi invece, come me, sente sempre puzza di bruciato dietro scelte strategico-musicali del genere, non può che rimanere con qualche interrogativo e dubbio sulla sincerità della proposta musicale. A voi scegliere da che parte stare.
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