Copertina SV

Info

Genere:Prog Rock
Anno di uscita:2021
Durata:100 min.
Etichetta:InsideOut Music

Tracklist

  1. CD1: DO IT ALL AGAIN
  2. BIRD ON A WIRE
  3. YOUR PLACE IN THE SUN
  4. ANOTHER STORY TO TELL
  5. THE WAY IT HAD TO BE
  6. EMERGENCE
  7. NOT AFRAID PT 1
  8. BRIDGE OVER TROUBLED WATER
  9. CD2: NOT AFRAID PT 2
  10. BEYOND THE YEARS

Line up

  • Neal Morse: vocals, keyboards, guitar
  • Eric Gillette: guitars, vocals
  • Mike Portnoy: drums, vocals
  • Bill Hibauer: keyboards, vocals
  • Randy George: bass, vocals

Voto medio utenti

“Bene, ma non benissimo”.



Sapete qual è il problema di “Innocence & Danger”, ultima fatica discografica della Neal Morse Band? È proprio Neal Morse. Mi spiego.

Dopo una carriera strepitosa nell’underground prog-rock/metal (manco tanto underground, a dire il vero) con i sopraffini Spock’s Beard, il nostro Neal, novello Frusciante, è uscito dal gruppo, per colpa di Gesù, e si è messo in proprio. Fin qui nulla di male, anzi: i primi dischi da solista di Neal rivelavano una vena compositiva strepitosa, e proprio durante questa transizione si crea il sodalizio artistico (ed affettivo) con Mike Portnoy, già in un periodo di Inner Turbulence con i suoi Dream Theater, che pian piano diventerà partner fisso, miglior amico e compagno a beccaccino di Neal.

Ma, com’è quasi inevitabile per certi Artisti, il cui Ego fa provincia (e ci mancherebbe), Mike e Neal cominciano a ‘sbrodolare’, a provarci talmente gusto che non si fermano più: ecco che nascono i Transatlantic (dio li benedica), i Flying Colors (dio li benedica) e poi una formazione stabile intorno ai dischi solisti di Neal, tanto stabile che a un certo punto (siamo nel 2015) i due decidono che forse è ora non di lasciare, ma di raddoppiare, e di dar vita ad una vera e propria Neal Morse Band, che si affianchi al nostro chierichetto del rock e che si distanzi un po' dalle tematiche cristiane, pur rimanendo nel solco del prog rock e affini. Di questa nuova formazione faranno parte in pianta stabile:
- Randy George, bassista navigatissimo e polistrumentista sopraffino, buona penna;
- Bill Hubauer, tastierista e ugola versatile e ottimo comprimario;
- Eric Gillette, chitarrista mo-struo-so e dotato pure di una voce della madonna, oltre a suonare praticamente qualsiasi strumento, essere un buon fonico, produttore, ci manca solo che si alzi alle 4 per fare il pane.

Insomma, la squadra c’è, Neal e Mike non vedono l’ora di continuare ad avere una scusa per stare insieme, e così vedono la luce tre dischi GROSSI (auto-cit), di cui gli ultimi sono due luuuunghi concept, in cui l’estro dei 5 risplende di luce propria. E QUI casca il proverbiale asino.

Evidenti pressioni interne devono aver spinto i summenzionati tre quinti a pretendere (giustamente) più spazio, e così accadono due cose: il timone creativo viene lasciato nelle mani di Hubauer e George (per la maggior parte, le idee di questo nuovo album sono loro), e il monicker della band viene mutato in un NMB che, oltre ad essere un cambio ridicolo, ha il logo fatto da mio nipote alle elementari ma (immagino) sia una scelta imposta dalla label, che non vuole perdere il treno di followers del monicker precedente, pur concedendo alla band di sganciarsi, seppur superficialmente, dal ‘codice Morse’.

Il risultato? Il risultato, amici lettori del portale più bello del mondo, è un album che soffre della stessa malattia dell’ultimo album di Transatlantic e Flying Colors, ossia: iniziano ad assomigliarsi tutti. Già, quando ti rendi conto che gli ultimi tre parti di PortMorse in tre bands differenti iniziano a suonare minacciosamente simili, realizzi che qui c’è qualcosa che decisamente non va. Anche perché, come potrete immaginare, la differenza la fanno proprio ‘gli altri’, e con tutto il rispetto dell’universo, Hubauer, George e Gillette NON sono Steve Morse – Dave LaRue – Casey McPherson, né tantomeno Pete Trewavas – Roine Stolt.

Innocence & Danger” è un doppio cd, con un primo dischetto dedicato ai brani più brevi, ed il secondo occupato da due megalodonti di 20 e 31 minuti rispettivamente. Il primo cd, però ha dei saliscendi mostruosi, e molte canzoni subiscono l’effetto di cui vi parlavo sopra. A tutto questo, aggiungete il più grosso dei problemi di questo album, cioè le parti vocali. Oltre ad avere, infatti, linee banali e poco entusiasmanti, questo doppio album lascia lo spazio da solista a quasi tutti (tranne il buon Randy), ma solo Eric Gillette meriterebbe davvero lo slot: Bill è troppo nasale ed acuto, e può andar bene per le armonizzazioni, Neal sta lentamente (ma inesorabilmente) perdendo la bella voce da crooner che aveva, e Mike, dai su, va bene che sei il più famoso e puoi fare praticamente quello che vuoi, ma davvero il microfono non è cosa per lui. Se solo, ascoltando questo disco, riusciste ad immaginarlo tutto interamente cantato da Eric, secondo me guadagnerebbe un sacco anche alle vostre orecchie.
Il primo disco, peraltro, si chiude con una versione devastante-devastata di “Bridge Over Troubled Water” di Simon & Garfunkel, di cui resta la linea vocale, le lyrics e davvero poco altro, in un tentativo (per me malriuscito) di dargli nuova linfa prog rock.

Le cose migliorano un po' con il secondo cd; la prima suite, “Not afraid pt. 2” sa tantissimo di Transatlantic (appunto), ma è un bel sapere, e la lunghissima “Beyond the Years” offre un po' di tutto, momenti floydiani (così come “The Way it Had to Be”), aperture finalmente un po' ispirate, ma il tutto annegato in un calderone dolce, ma ripetitivo. Un po' troppo ripetitivo.

Insomma, provando a tirare le somme: Neal Morse e Mike Portnoy li ho adorati alla follia, potrei stare ore a vederli suonare, cantare, parlare, fare le puzzette; ma sembra innegabile che la vena creativa si stia lentamente esaurendo. Non mi azzardo nemmeno a parlare di chops, perché questi signori (tutti e 5) hanno una mano benedetta dagli dei, e suonano i rispettivi strumenti da perdere la testa. Ma al netto di questo, “Innocence & Danger” scricchiola, un bel po', più di “Third Degree” (che pure scricchiolò un pochino) e molto più di “The Absolute Universe” (magari scricchiolasse come quello). La veggo buia.


Recensione a cura di Pippo ′Sbranf′ Marino

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