Insieme forse ai soli
Labyrinth, c’è una sola metal band in Italia che può vantare una qualità media così alta nelle sue uscite, e sono proprio gli
Eldritch. Ingiustamente da sempre un nome quasi ‘di nicchia’, in realtà la proposta musicale dei toscani è difficilmente inquadrabile. Sì, perché la veloce e sbrigativa etichetta ‘
prog-metal’ racconta davvero la metà di quello che la band di Terence e soci è sempre stata, sin dall’inizio. E questo continuo percorso di crescita, evoluzione, spesso in barba al trend del momento, è quello che ha consentito agli Eldritch di incorporare suggestioni di qualsiasi tipo, dal thrash a ispirazioni industrial, da momenti dolci e rarefatti ad inserti elettronici, senza mai smarrire la propria natura, ma al contrario esplicandola, lasciandola ramificare, come ogni albero che si rispetti farebbe se lasciato a crescere in un terreno fertile e ampio.
Finito il doveroso cappello introduttivo, permettetemi di introdurvi a “
Eos”, probabilmente il disco più complicato, bello, inafferrabile e meno scontato che gli Eldritch abbiano mai partorito.
Partiamo dalla line-up: la formazione storica si impreziosisce grazie all’arrivo del nuovo bassista
Dario Lastrucci (che suono) ed al ritorno di un certo
Oleg Smirnoff, ve lo devo davvero presentare? Questo combo a sei è la declinazione per-fet-ta per un album che davvero ha bisogno di cinture di sicurezza ben allacciate per essere ascoltato, perché al suo interno ci sono due-tre mondi interi di musica. Pazzesco.
Potrei farvi un track-by-track, e per un attimo sono stato fortemente tentato di farlo, perché ogni traccia di questo “
Eos” non somiglia alla precedente, eppure ci somiglia, come se fosse un concept-non concept… Una sorta di inafferrabile fill rouge collega tracce che al primo ascolto sembrano così diverse tra di loro; tra le accelerazioni parossistiche di brani come il primo singolo “
The Cry of a Nation”, aperture modern-prog di matrice Symphony X come ad esempio “
The Awful Closure”, che me li avvicina un po’ ai DGM (ma attenzione, qui ogni paragone è sbagliato e riduttivo, gli Eldritch possono vagamente somigliare a qualcun altro, ma sono profondamente diversi, nella fruizione delle loro stesse influenze, che non vengono mai pedissequamente copiate, ma sempre rielaborate, nella testa prima ancora che sullo strumento). Potrei parlarvi di momenti malinconici come “
I can’t believe it”, altri esaltanti e da montagne russe (“
Circles”), brani come la lunga “
Sunken Dreams”, dove la perizia strumentale di questi signori viene fuori con prepotenza (che collezione di riffs che è questo disco, che collezione di solos davvero di gran gusto), ma la vera essenza di “
Eos” è completamente da un’altra parte. E questa cosa sono riuscito a capirla solo dopo mille ascolti, quando il pattern si è lentamente rivelato alle mie orecchie e ai miei neuroni.
“Eos” è una rotta tracciata su un ipotetico gps stellare, è un album che punta in una direzione completamente ‘altra’ da quella perseguita dalla maggioranza delle bands; questo album non scimmiotta i numi tutelari del genere, non vuole suonare come i Dream Theater, o i Symphony X o qualsiasi altro nome vi salti in mente, ma proprio il contrario: “Eos” è la dimostrazione finale che gli
Eldritch non sono paragonabili ad altro, se non agli Eldritch stessi. “Eos”, in un colpo solo, sancisce definitivamente l’esistenza di questa band come caposaldo assoluto di un genere ancora non categorizzato, che è figlio di tanti padri, ma che, al momento, è figlio unico. Un album difficile da capire davvero, ma facilissimo da ascoltare e godere. Accettate il mio umile consiglio, dategli del tempo, regalategli il vostro tempo, la cosa più preziosa che possedete: “Eos” ve lo restituirà moltiplicato, donandovi la sensazione di un uomo che si trovi ad ammirare un’alba che sorge dal mare.
Un giorno deve morire, affinché il successivo possa nascere; gli Eldritch si sono concessi proprio il rischioso lusso di morire e rinascere, per divenire finalmente un caposaldo imprescindibile nella scena metal italiana e non solo.