I Dream Theater possiedono in Italia un seguito sbalorditivo, a livello di culto, che immagino superiore a quello da loro ottenuto in ogni altra nazione. In fin dei conti restiamo sempre un popolo di inguaribili sentimentali. Era quindi inevitabile la proliferazione di cloni nostrani dei gloriosi paladini del nuovo progressive. Rientrano in questa categoria i baresi Shide, che propongono quatto lunghi brani di musica tecnicistica e melodica con alcune caratteristiche distintive: due cantanti, anche se è preponderante l'ugola di Renata Morizio, un uso piuttosto ampio delle tastiere in forma classica ed una non celata tendenza ad atmosfere soffuse e romantiche, le quali toccano il loro apice con l'etereo episodio "If you can", un morbido lento dall'atmosfera sognante. Il gruppo mostra di essere tecnicamente all'altezza, tenendo conto dell'inesperienza che provoca qualche intoppo e della penalizzante realizzazione del demo, chiaramente imperfetta. I brani seguono alla lettera le ferree regole imposte da questo genere: complicate architetture, cavalcate strumentali sorrette da incastri solistici, sezione vocale alla ricerca di raffinatezza ma molto da migliorare nella fluidità. Pur essendo canzoni piacevoli e validamente eseguite mi hanno dato la sensazione che la band abbia voluto strafare inseguendo una complessità non ancora alla sua portata, e ciò ha provocato una generale specularità dei brani alla lunga troppo simili tra loro. Una mancanza di passaggi più variegati, magari più aggressivi, che avrebbero tenuto lontano la sensazione di stucchevolezza che traspare a tratti dal lavoro. Comunque la formazione pugliese può già offrire discreti momenti agli estimatori di questo stile rock e possiede una solida base di partenza per il futuro, specialmente se il debito con i loro padri ispiratori cesserà di superare il livello di guardia.

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