Bello, fascinosamente cupo e tremendamente ambizioso!
Con queste semplici e poche parole potrebbe essere descritto brevemente il secondo disco dei
Devcord, interessantissima creatura musicale del polistrumentista austriaco
Peter Royburger, intitolato
Godisnowhere.
Si tratta di un lavoro abbastanza complesso, difficilmente assimilabile al primo ascolto ma che, alla lunga, diciamolo subito, riesce in pieno nel suo intento, che è evidentemente quello di lasciare il segno, non solo tra gli amanti del progressive metal tradizionale, ma anche e soprattutto, tra tutti i nostalgici di quel prog-death nordico che fu, e che si diffuse negli anni ’90, grazie soprattutto ad artisti del calibro di Mikael Årkefeldt coi suoi Opeth o al geniale Dan Swanö coi suoi Edge Of Sanity e, in maniera minore, coi Nightingale.
Ma torniamo ai giorni nostri e mettiamo da parte la nostalgia, almeno per un attimo.
Godisnowhere è caratterizzato da molteplici sfaccettature musicali ed è un disco assai elaborato, difficile da spiegare in poche righe; per intenderci, potrebbe essere paragonato ad un polpo che allunga i suoi lunghi tentacoli, andando pescare laddove più gli aggrada, seguendo i propri primitivi istinti animali, senza alcun piano prestabilito, dettato dalla razionalità.
Si inizia con delle sonorità che, come si diceva, richiamano molto da vicino i primi Opeth, merito di tracce oscure ed assolutamente imprevedibili, indubbiamente poco dirette, quali
Parasomnia e
Trail Of Decline, si passa poi attraverso
Beyond The Pale che, per scelte melodiche e strutturali, ricorda qualcosa dei Dream Theater più recenti, da cui tuttavia i
Devcord prendono le distanze per merito del growl nel cantato, il tutto viene poi impreziosito da partiture jazzate, enfatizzate ulteriormente da tastiere delicate e sognanti e da eleganti chitarre acustiche.
Poi, a metà dell’album circa, un tuffo nelle atmosfere più decadenti ed inquietanti possibili, con la sinfonica e teatrale
Slihouette, che segna una netta inversione di tendenza all’interno dell'album che, da questo momento in poi, diventa leggermente meno aggressivo e più intimo, grazie anche a brani come
A Scourge Of The Present (non privo di influenze folk, dove però si possono ancora udire echi dreamtheateriani), l’acustica
A Joykiller Called Death o la complessa
The Lament, che invece ricorda vagamente gli Haken, diventati nel corso degli anni, a loro volta, fonte di ispirazione per le nuove leve.
Mentre il disco si avvia alla sua conclusione, il polpo torna ad allungare i suoi tentacoli verso le gelide terre nordiche e la band aggredisce nuovamente, per merito di incisivi riffs, questa volta tipicamente thrash, che caratterizzano
Tournament o con la finale
Entreat The Purge che, a dispetto del pianoforte iniziale, si rivela una traccia assai robusta, in cui torna a soffiare forte il vento freddo del prog-death scandinavo, già presente ad inizio disco.
In conclusione,
Godisnowhere é un lavoro veramente riuscito, a tratti quasi geniale, in cui le varie influenze presenti, risultano abilmente amalgamate tra loro, senza far storcere il naso o disorientare e, nonostante un leggero calo verso la metà del disco, bisogna ammettere che il buon
Peter Royburger riesce a rendersi autore di un album assolutamente imprevedibile e quindi, per questo motivo, mai monotono che, in alcuni frangenti, è addirittura in grado di sorprendere, per l’ottima qualità musicale proposta e per la considerevole varietà di idee sviluppate all'interno di questa nuova fatica discografica.