Copertina 5

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2022
Durata:34 min.
Etichetta:Symmetric Records

Tracklist

  1. DAWN OF NEW AGE
  2. SON OF FIRE
  3. MAN OF STEEL
  4. STRONG WINDS
  5. BLOOD METAL LEGIONS
  6. SILVERHAWKS
  7. GLADIATOR
  8. THE TEN THOUSAND
  9. CONQUEST OF STEEL

Line up

  • Odi Thunderer: guitars (rhythm), vocals

Voto medio utenti

Grecia, culla della civiltà, terra di antiche battaglie e scontri epici. Dopo essere stata la patria di un movimento black metal tra i più affascinanti di sempre, la Penisola Ellenica si sta rivelando negli ultimi anni come baluardo del metal più classico grazie ai lavori di Black Soul Horde, Sacred Outcry, Sacral Rage, Warrior Path e molti altri.
Tra le seconde file di questa ondata di gloriosi scudieri del metallo figurano anche i Validor, band che arriva oggi al quinto sigillo, sempre guidata dal factotum Odi Thunderer.

Metto subito le mani avanti dicendo che Dawn of the Avenger (il loro secondo lavoro) a mio parere è ancora imbattuto come idee, riff, spinta e viscerale potenza che sprigiona. Un disco più crudo sotto diversi aspetti rispetto ad altri loro album ma le idee, i riff e la passione che emana sono di un’autenticità tangibile.

Il nuovo Full Triumphed segue di un anno la ri-registrazione del loro debutto e ci propone una band con più muscoli, con suoni migliori ma, ahimè, con meno idee. L’album è un concentrato di influenze che vanno da Sacred Steel a Manowar, da Manilla Road a Doomsword ma spesso i pezzi risultano piatti per via di una doppia cassa insistente, di riff lineari e ripetuti in costanti triplette e di un cantato non certo da premiare per estensione o teatralità.

Tempo fa li avevo definiti “degli scappati di casa che, tra tante ingenuità, ci buttano una foga davvero notevole con momenti interessanti ed altri più noiosetti.” Mi sento di auto-quotarmi.
All’interno di Full Thriunphed gli episodi riusciti sono pochini, giusto quelli più strutturati, come l’anthemica "Gladiator", la bella "Strong Winds" (la migliore del lotto) e qualcosa della lunga "Conquest of Steel". Purtroppo nelle altre tracce vengono a galla un po’ di noia e monotonia, cosa che in un disco che dovrebbe farti battere il pugno sul petto diventa un problema. Senza contare piccole ingenuità come "The Ten Thousand" che ha la progressione di accordi, tempo e linee di Hail and Kill. Ok l’ispirazione, oppure un tributo, ma così ne risulta solo una canzone scopiazzata.

Peccato davvero perché queste sono sonorità che amo ma stavolta non sento il sangue ribollire e il fomento che mi prende. Magari qualche ultra-cultore dell’underground e delle sonorità epiche potrà trovarli interessanti, cosa certamente possibile e normale, ma rispetto alle band citate in apertura, beh, siamo su pianeti differenti.

Recensione a cura di Francesco Frank Gozzi

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