In uno dei miei ultimi scritti pubblicati sul portale, avevo fatto un
excursus sui
Messa, come breve ripasso in attesa del loro nuovo album
“Close” e nel finale con qualche piccola congettura, mi chiedevo come si sarebbe potuto evolvere lo stile e il suono della band veneta.
Anticipo già che se vi aspettate un’evoluzione che ricalchi prettamente la scia delle sonorità Doom Metal/Dark Jazz dei due lavori precedenti, rischiate di rimanere delusi visto che il gruppo con un certo coraggio ha deciso di cambiare, e non di poco, le carte in tavola.
Perché a parte pochi pezzi, il quartetto veneto va a parare su ben altre soluzioni stilistiche.
In comune con quanto seminato prima c’è l’alone Doom Metal sulfureo, cerimoniale, a tratti etereo, oltre ad una certa attitudine dallo svincolarsi da schemi prefissati rigidi e limitanti.
Tra le varie ipotesi che buttai giù quasi per scherzo c’era la domanda se ci sarebbe stata una feroce fioritura degli accenni Black Metal già fatti in precedenza, cosa che in piccola parte è avvenuta, ma oltre a questo le sorprese sono anche - e soprattutto - altre.
Di fatto solo un pezzo vede una presenza abbondante e costante dell’elemento Jazz a fare da contorno al Doom dall’incedere strascicante: parlo dei sette minuti dell’opener, la crepuscolare
“Suspended” che presenta un delicato assolo di chitarra dal chiaro sapore Smooth Jazz. Andando poi in ordine sparso, anche
“If You Her to be Taken” e
“Serving Him” rimandano parzialmente al passato, ma in questo caso con un forte accento posto sull’elemento Blues dello stile dei
Messa, con svisate soliste che accarezzano l’ascoltatore e sanno essere intense, il tutto impreziosito da atmosfere d’altri tempi, complice anche un’interpretazione molto sentita dietro al microfono.
“Dark Horse” e
“Rubedo” potrebbero spiazzare visto che in esse il gruppo si scrolla prepotentemente di dosso le ritmiche pigre del genere per un andamento ben più deciso e vigoroso, con influenze che vanno a lambire territori sonori Post Punk, Dark e Occult Rock.
Oltre ad alcune parti disseminate qua e là, il Black Metal (che qui ha un forte sapore Power Violence) è palese nei quaranta e rotti secondi dell’infernale
“Leffotrak”.
Quest’ultima è una tripletta di canzoni che mostra come i
Messa sappiano pestare quando vogliono andare su sonorità e ritmiche più sostenute.
Ma l’elemento che emerge con più forza in
“Close”, è senza ombra di dubbio quello etnico: non a caso strumenti come il mandolino, il dulcimer e l’oud vengono abbondantemente usati, oltre a melodie ed atmosfere che rimandano a scenari lontani ed esotici.
“Hollow” è un semplice - ma calzante - intro acustico che apre le danze a quello che è stato il primo singolo, ovvero quella
“Pilgrim” che a parere di chi scrive è uno degli highliths del disco, un pezzo che con esotica fascinazione sa evocare l’aspetto più ritualistico del Doom, tra le parti acustiche di matrice berbera e il mantra Sludge/Doom finale. La carovaniera
“Orphalese” dal canto suo è un lento semi acustico dal sempre magico sapore d’africa dotato di grande intensità e fascino grazie anche ad un seducente sassofono. Pescando dalla tracklist rimane solo
“0=2” che è anch’esso un altro pezzo che viaggia in maniera fiera e convinta tra l’etnico ed il folkloristico con la parte strumentale finale che riserva un climax ipnotico di stampo Metal.
Tanta carne al fuoco, non trovate?
Più di un’ora di musica che mostra ecclettismo, voglia di fare, di non adagiarsi sugli allori oltre che una ricerca costante di nuove vie per arricchire la propria proposta musicale. In
“Close” ho trovato tutto questo e i quattro anni passati dal secondo (
ottimo) lavoro sono stati ben ripagati.
Con il tempo penso che il terzo sigillo discografico dei doomsters veneti saprà raccogliere gli elogi che merita di avere.
Opera questa di grande sensibilità, da parte di questi quattro musicisti sempre più maturi.