Un’intervista a
Terry Gorle apparsa sul terzo numero della
fanzine Metal Caos, che vinsi grazie ad un concorso del programma radiofonico
Fuckin’ Noize (condotto da
Claudio Cubito e
Sandor Mallasz), mi fece avvicinare agli
Heir Apparent, influenzato anche dalla loro città di provenienza, quella Seattle diventata un’autentica roccaforte dell’
hard n’ heavy di pregio e prestigio.
Da quel momento, il faticoso passaggio all’albo di debutto della
band americana, avvenuto in prima battuta grazie ad una
Sony HF C90 (sul lato B “
March of the saint” degli Armored Saint), gratificò in pieno gli sforzi di questo bulimico
metalofilo, assegnando a “
Graceful inheritance” il ruolo di sovrano dei suoi ascolti quotidiani.
In quei solchi il vigore e le figurazioni epiche di certa
NWOBHM si combinavano con il turbinoso e tenebroso incedere del
metallo statunitense, fondendo in un’unica entità gli insegnamenti di Iron Maiden, Blue Oyster Cult, Queensryche e Judas Priest.
Una miscela istintiva, intensa, al tempo stesso aggressiva e ricercata, elaborata da musicisti di qualità e preparazione che affidavano a quei tredici frammenti sonori tutta la loro inquieta e drammatica sensibilità espressiva.
Pilotato dal
mastermind Gorle, divulgato dalla voce acuta e comunicativa di
Paul Davidson e sostenuto da un efficace motore ritmico rappresentato dall’estroso
Derek Peace (il quale contribuisce anche in sede di scrittura) e dal funzionale
Raymond Black, il programma sgrana quarantasei minuti di puro e brillante acciaio
yankee, da cui attingere a piene mani senza esclusioni di sorta.
Dopo la sinistra
intro “
Entrance”, gli arpeggi e i vocalizzi in crescendo di “
Another candle” conducono l’astante nell’universo trionfante e ombroso degli
Heir Apparent, in cui trovano spazio anche le trascinanti galoppate di “
The servant”, le enfatiche e
anthemiche evocazioni di “
Tear down the walls” e le nervose pulsazioni di “
Running from the thunder”, cesellate dallo straripante e tuttavia calibrato fraseggio della chitarra.
“
The cloak” è un altro momento d’imponente suggestione metallica, al pari dello strumentale “
R.I.P.”, immaginifica applicazione dell’immarcescibile lezione Maiden-
iana, e di una “
Hands of destiny” che rivela in maniera ancora più esplicita la ricca cultura melodica della
band.
“
Keeper of the reign” è un misto di caligine, passionalità, angoscia e catarsi impossibile da trascurare per i
fans del genere e lo stesso si può tranquillamente affermare per la furente “
Dragon’s lair”, per l’incalzante “
Nightmare (faces in the dark)” e per la fosca e tagliente “
A.N.D. ... Dogro lived on”, perfetta per essere apprezzata in un contesto
live.
Lasciamo per ultima “
Masters of invasion”, la traccia più lunga della scaletta, con un coro “aperto” che si combina con il consueto
pathos solenne, scontando appena un pizzico di eccessiva ripetitività nella struttura armonica.
Come forse avrete capito per me è abbastanza difficile evitare che la recensione della ristampa dell’opera in questione targata
Hammerheart Records finisca per essere impastata di rigurgiti nostalgici e
flashback personali, ma sono altresì convinto che “
Graceful inheritance” rappresenti tuttora uno dei capisaldi dell’
US Metal, lo specchio piuttosto fedele di un periodo musicale per molte ragioni indimenticabile, in cui tutte le generazioni presenti e future dedite a questi suoni possono riflettersi con fiducia.
Il voto finale, è dunque da intendersi come una mediazione tra importanza “storica”, intrinseche qualità artistiche e il significato di una riesumazione non inedita … insomma, facendo parte dei dischi “da avere”, se ancora non fa parte della vostra collezione, sapete cosa fare.