Riecco i
Sabaton, che danno un seguito a "The Great War" proponendo una ulteriore disamina su avvenimenti e personaggi della Prima Guerra Mondiale, mantenendo inalterata la line-up e soprattutto l'approccio compositivo ed esecutivo.
A riguardo del quale non posso che ribadire quanto già sollevato una decina di anni fa, in occasione di "Carolus Rex", lavoro che anticipava la prima grande rivoluzione che sarebbe seguita in casa
Sabaton con i soli
Brodén e
Sundström a mantenere il legame con i primi passi della formazione svedese. Un album dove "
... l'impatto ed anche quell'ingenua irruenza che avevano fatto intravedere nelle precedenti uscite finiscono in secondo piano a favore di brani che si rivelano più cadenzati e caratterizzati da passaggi melodici e largamente corali...".
Si ha anche la sensazione che nel dare vita a "
The War to End All Wars" i
Sabaton si siano concentrati maggiormente nell'affrontare la parte narrativa perdendo un po' di vista la controparte musicale, che così non riesce ad eccellere, limitandosi a riproporre non solo soluzioni già note ma che si rivelano anche poco incisive, con predominio di cori e concedendo largo spazio al chitarrismo fluente e neoclassico di
Tommy Johansson (ReinXeed e Majestica, Golden Resurrection...), che si era messo al servizio dei
Sabaton già dal precedente "The Great War".
Sicuramente non ha aiutato l'aver dovuto lavorare separatamente, infatti, a causa le limitazioni stabilite per contrastare la diffusione del Covid-19, i vari musicisti non hanno potuto collaborare in studio, tanto nel songwriting quanto per le registrazioni, ma non sono mancate nemmeno difficoltà nel realizzare i cori.
Inconvenienti che comunque non sembrano aver inficiato in maniera evidente la resa finale di "
The War to End All Wars", anche se a mio parere le parti corali e orchestrali finiscono per arginare le incursioni nei territori più Power, quelli prossimi al passato dei
Sabaton, e che ritroviamo soprattutto in occasione di "
Stormtroopers" e "
Hellfighters", ma anche nei modi più cupi e rallentati di "
Dreadnought" o in quelli marziali di "
Race to the Sea".
Tuttavia, se guardiamo all'inizio e alla fine dell'album, ai due brani che trattano proprio gli episodi che hanno aperto e chiuso la Grande Guerra, "
Sarajevo" e "
Versailles", rispettivamente il pretesto dell'Impero Austro-Ungarico per dichiarare guerra alla Serbia e uno dei trattati di pace che posero ufficialmente fine alla Prima Guerra Mondiale, sono proprio le narrazioni e i tratteggi sinfonici e corali ad avere il comando. Soluzioni non inedite e che per quanto nel tempo via via più preponderanti, fanno da sempre parte del DNA dei
Sabaton, che sanno anche stupirci quando fanno capolino i synth electro pop di "
Soldier of Heaven", che vengono comunque bilanciati dalla prova energica di
Joakim Brodén, con quel suo vocione baritonale che ho sempre apprezzato e trovato perfetto per la proposta dei
Sabaton e in grado di rivitalizzare brani un po' sottotono, come nel caso di una "
Christmas Truce", ballad sì emozionante (con tanto di citazione da "Carol of the Bells"), ma più nelle intenzioni che nella sua resa finale.
Alla resa dei conti siamo di fronte al solito discreto album dei
Sabaton, dai quali - ormai da più di qualche anno - mi aspetto sempre quel colpo di coda che possa spingerli nell'élite della scena Metal.
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