Dopo oltre quarant'anni di carriera, diciannove album, una pletora di singoli, raccolte, Ep, ed un numero incalcolabile di tour e concerti, dire qualcosa di nuovo sugli
Anvil è praticamente impossibile. La band dell'Ontario, nata nel 1978 (io avevo iniziato le scuole superiori, è trascorsa una vita..), ha attraversato indenne e tetragona tutta una serie di mode e tendenze restando incrollabilmente fedele al proprio credo musicale: heavy metal duro e puro. Possono piacere o meno, ma la loro coerente attitudine non è argomento di discussione. Quando vengono citate icone storiche come Judas Priest, Motorhead o Saxon, non è affatto sacrilego accostare a loro il nome dei canadesi. Meno successo di massa, certamente, ma in fatto di attitudine le radici sono le stesse. Il sound ruvido, metallico, potente ed orgogliosamente heavy che ad ogni metallaro che si rispetti scatena una frustata di energia ed emozione.
Partendo da tali presupposti, i dischi degli
Anvil non rappresentano mai una sorpresa. Chi si pone all'ascolto è totalmente consapevole di cosa troverà, come in un lavoro degli Ac/Dc o dei Deep Purple. Non siamo di fronte a degli esordienti che hanno necessità di stupire, di impressionare, bensì ad un trio di storici veterani che sono partiti nei tardi '70 dal proto-metal, per poi accellerare nello speed (i seminali "Hard'n'heavy", "Metal on metal", "Forged in fire") ed infine assestarsi in un solido, potente, immediato e roccioso heavy metal ortodosso.
Questo "
Impact is imminent" non si discosta di un millimetro dai più recenti capitoli discografici. La produzione è la stessa degli ultimi tre lavori, affidata alla coppia
Martin "Mattes" Pfeiffer e
Jorg Uken, così come la line-up che vede i due padri fondatori
Steve "Lips" Kudlow e
Robb Reiner affiancati dal bassista
Chris Robertson. Una continuità che gratificherà i die-hard fans del gruppo, quelli che non desiderano cambiamenti o improvvisazioni. Solido
Anvil-sound al cento per cento.
Il riffone e la punteggiatura dei fulminei assoli in "
Take a lesson" profumano di Nwobhm lontano un miglio, così come l'irruenza arena-rock di una "
Fire rain" evocano il machismo torrido dei Grand Funk o di Ted Nugent. Buon vecchio metal, energia e muscoli tesi, ritmiche rocciose e ritornelli immediati, ricetta abusata ma altrettanto semplice ed efficace.
Molto vicina allo speed "
Ghost shadow" (c'è un eco di Exciter), pezzo bombastico personalizzato dal timbro rauco di Lips, mentre "
Another gun fight" è una classica marcia cadenzata tipica di questa formazione. Canzoni da sentire a volume assordante, sicuramente non sbalorditive ma poderose come una legnata sui denti. Un po' scontate, ma dignitose.
Ancora up-tempo massiccio per "
Bad side of town", però qui si sente che la voce di
Kudlow non possiede più lo smalto irriverente dei tempi d'oro (gli anni passano per tutti), cosa che viene ribadita nel fiacco hard rock metallizzato "
Wizard's wand" che nonostante l'appassionato assolo centrale risulta uno dei titoli più deboli del lavoro.
Meglio i tiri visceralmente Motorheadiani di "
The rabbit hole" e "
Someone to hate", canonici quanto si vuole ma di buona temperatura da headbanging, mentre "
Don't look back" è un'altra traccia
classic-Anvil che non possiede lo smalto vincente. In diversi passaggi del disco si percepisce lo sforzo della band di ben figurare dopo quattro decenni di carriera, la grande professionalità e la volontà di tenere alta la bandiera dell'heavy ortodosso, ma è chiaro che il peso degli anni non può essere ignorato e la fresca irruenza cafona dei tempi d'oro rimane impossibile da recuperare.
Lavoro onesto, corretto, giocato sull'esperienza e sulla routine che è ormai nel DNA del trio nordamericano. Un titolo che difficilmente conquisterà nuovi fans, ma possiede sufficiente qualità per ben figurare nella discografia dei completisti
Anvilliani. Resta inteso che quando questo tipo di veterani appenderanno gli strumenti al chiodo, la musica metal risulterà sicuramente più povera.