Anche il moderno stoner pesante e psichedelico ha consolidato nel tempo i propri canoni. I fondamenti Sabbathiani sono stati caricati di grevità heavy e narcosi psych, le tematiche dark/doom hanno preso direzione sempre più cupa e sfibrante, il retrogusto hard rock è diventato maggiormente aspro e sferzante e così via. I gruppi che intendono perseguire questo stile conoscono benissimo tali direttive e le applicano in maniera massiccia, cercando di trovare identità personale lavorando sulle sfumature, sull'ossessività degli schemi o sulla loro varietà.
I tedeschi
Purple Dawn con il loro secondo album "
Peace & doom session vol.II" puntano proprio sulle coloriture dei loro brani, sull'ampiezza delle soluzioni e sulla ricerca di una buona freschezza di fondo. Pur agendo all'interno di un sound poderoso e grintoso, di tipo stoner-psych muscolare, riescono a rendere riconoscibili i vari episodi inserendo elementi non nuovi ma ben distribuiti nell'arco del lavoro.
Si parte con uno strumentale che è Black Sabbath fino al midollo ("
Bonganchamun"), groove torrido speziato alla marijuana, poi si passa allo stoner grezzo e Sleepiano di "
100 years a day" dove emergono le linee pulsanti del basso e la voce ursina di
Patrick Rose con un impatto generale molto granitico e doomy, per arrivare alla ruvida e cadenzata "
Old fashioned black madness" la quale esprime una virilità catchy molto americana che richiama i Corrosion of Conformity. Tre pezzi rocciosi, densi, pieni di ritmiche potenti e riffoni da scapocciamento. I ragazzi di Colonia fanno buona impressione, temprati ed accessibili al tempo stesso e capaci di variare la miscela restando comunque coesi e lineari.
"
Power to the people" è un pezzo dal taglio più accattivante e sornione, ricorda molto i Clutch per la diversa impostazione vocale di
Rose ed il sottofondo bluesy che lo rende molto swamp-rock. Tutto convincente, compreso il solismo acido di
Timo Fritz. Canzone live per eccellenza.
I nove minuti di "
The moon song" modificano quanto ascoltato in precedenza: slow-dark notturno con passaggi epic-doom. Alternanza tra momenti atmosferici e robusti mid-tempo, dove la voce diventa profonda ed insinuante ed il ritornello ha dei connotati battaglieri. Qui però la band indugia un pò troppo nella coda evocativa che sfocia in un classico doom di ultima generazione. Non male, ma piuttosto ridondante.
Mi piace di più l'altrettanto estesa "
Death to a dying world", che ha il passo ruvido degli Orange Goblin con forti contaminazioni psichedeliche. Un intermezzo liquido e spaziale introduce il solismo lussureggiante di
Fritz, in pieno trip alla Earthless. Gran pezzo heavy-psych secondo le direttive contemporanee: pesantezza quasi sludge e alleggerimenti narcotici.
Il finale riprende lo strumentale iniziale ("
Bonganchamun part.II"), dilatandolo ulteriormente con echi di Karma to Burn.
L'etichetta sarda
Electric Valley ha sempre buon gusto nello scegliere i componenti del proprio roster di heavy alternativo, questi
Purple Dawn sono la conferma di tale tendenza. Non particolarmente innovativi, ma brillanti per freschezza e attitudine. Un disco solido, senza particolari cali d'intensità, molta grinta barbuta e floridi passaggi strumentali. Band adatta ai rockers che cercano inoculazioni di energia e sound dalla fibra robusta.
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