Dopo tanti anni, si riformano gli americani
Zero Hour, attivi tra fine '90 e primi 2000, nel periodo d'oro del prog metal. E quello che ci propongono in questo album di ritorno, intitolato "
Agenda 21", è il prog metal che proprio andava di moda in quegli anni: tecnicissimo, con brani lunghi e arzigogolati, tempi dispari in gran quantità ed una sorta di "ricerca estetica" dell'esecuzione ancor prima dell'attenzione alla forma-brano. Prova ne siano i 14 minuti e 19 dell'opener "
Democide", che racchiude in sé una pletora di idee e velocità e spunti e dimensioni diversi, abilmente mescolati e suonati. Se proprio dovessi trovare un difetto, lo addurrei al timbro vocale di
Erik Rosvold, che ricorda un po' Jon Oliva nella ruvidezza dell'esecuzione, ma che poi, ascolta e riascolta, forse è quello che ci sta meglio con questa musica spigolosa e 'poco comoda'.
Solo 6 tracce per 50 minuti di musica, niente dischi imbottiti fino all'ultimo secondo disponibile, "Agenda 21" sembra davvero sbucato dal 1998, quando le bands ci credevano, e non erano ancora vittime dei dati di vendita e di stream, quando una label pubblicava, promuoveva e al massimo consigliava, ma non dettava ancora la direzione ed il suono di una band. E' un album per i nostalgici, per quelli come noi cresciuti a pane e Psychotic Waltz, Fates Warning,Threshold e King's X, insomma: prog metal sì, ma radio friendly proprio zero. Ci piace così.
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