Credo che alcune band nel corso della loro storia abbiano avuto una sorta di maledizione o più semplicemente sfortuna: la sfortuna di fare un certo genere in quel momento, di essere licenziate da una label in difficoltà economiche e via discorrendo ha tarpato le ali a certi gruppi che avevano tutte le carte in regola per sfondare a tutti i livelli e raggiungere il cosidetto “mainstream”.
Ecco i
Trouble sono una di quelle band.
Inutile girarci intorno, con il nuovo inizio nei primi anni ’90 e con l’apporto di
Rick Rubin dietro alla console gli ex doomsters americani avevano tutte le carte in regola per uscire dalla cerchia degli artisti di culto per approdare sotto le luci della ribalta, invece la storia sarà decisamente più amara, specialmente nel vecchio continente.
Misteri del music business.
Proseguendo con l’opera delle ristampe di questo piccolo/grande gruppo ad opera dell’ottima
Hammerheart, tornano alla mente molte amare considerazioni.
“Plastic Green Head”, uscito originariamente nel 1995 prosegue con quanto tracciato con i due precedenti capolavori: canzoni più snelle e toniche, strutture asciutte, un mirabile bilanciamento tra potenza e melodia tipica del vituperato
“Black Album” con una limatura degli elementi più spigolosi, grande cura nella produzione ed una prosecuzione sul tracciato dello Stoner, sempre più fatto, psichedelico e seventies, con tanto di wah-wah a catinelle.
Nonostante tutto questo ben di Dio e nonostante pure una riuscita cover dei
Beatles* (parlo della mitica
“Tomorrow_Never_Knows” contenuta nello storico
“Revolver” del 1966, autentico faro per la Psichedelia) i
Trouble, per la terza volta consecutiva persero il treno del mainstream.
Certo, non che ciò importi molto a livello qualitativo, ma alla loro storia sfortunata e travagliata sì, decisamente.
Poco dopo la band si scioglierà nell’indifferenza di molti, il prode
Eric Wagner continuerà la sua avventura psichedelica sempre più vicina agli Scarafaggi di Liverpool con la perla
“In the Mushrooms” uscita nel ’97 a nome
Lid, in compagnia di
Danny Cavanagh.
Dopo qualche anno però tornarono i
Trouble, ma questa è un’altra storia, una storia che racconteremo con la scusa della prossima ristampa…
Intanto però fatevi un favore e riscoprire questo album:
“Plastic Green Head” non merita assolutamente l’oblio, a maggior ragione se lo si paragona con un buon 90/95% dell’attuale scena Stoner Metal/Rock sempre più piatta e stantia, con l'eccezione delle chicche che riesce a scovare il nostro
Fabrizio Dr. Stonerman Bertogliatti.
*piccolo sproloquio a parte riguardante i
Beatles: leggo troppo spesso da sedicenti luminari del web che la band in questione non è rock o addirittura che è alla stregua di una moderna boy band.
Innanzitutto c’è da dire che la carriera dei
Beatles è da dividersi in due principali tronconi e il primo, era soprattutto debitrice della musica anni ’50: il doo-wop americano faceva un uso smodato delle armonie vocali, mentre più avanti, con album quali
“Revolver”, il
“White Album” ecc i
Beatles fecero delle pietre miliari importantissime non solo per la Psichedelia Anglo-Americana, ma pure per tutte le branchie sperimentali del Rock grazie agli elementi inediti presenti e alle idee concretizzate dal loro produttore.
Alla faccia della band per ragazzine, eh?
I gusti sono sacri e inviolabili, ma a volte prima di parlare/scrivere sarebbe il caso di pensare e contestualizzare.
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