I più attenti osservatori del mondo stoner noteranno subito che questa nuova release della Rise Above denominata The Last Drop, non è altro che il secondo lavoro dei britannici Shallow, i quali avevano esordito nel 2000 con l’interessante “16 Sunsets in 24 hours”. Non sono così introdotto da conoscere con precisione i motivi che hanno portato al cambio di moniker, ma è forte il sospetto di una imbarazzante omonimia con gli statunitensi Shallow, North Dakota, sebbene la questione non sia così rilevante. La metamorfosi del nome non ha comunque portato a cambiamenti di rotta musicale, e questo “Where were you…” riprende il discorso cominciato con il primo lavoro. Questo è un gruppo che in qualche maniera si distacca dai soliti schemi del genere, preferendo sostituire alle lunghe cavalcate desertiche una costruzione di brani compatti e serrati, talvolta immersi in un’atmosfera gelida e malinconica, alla moda dei Beaver, ma con un taglio chitarristico spigoloso più versato al metal e con impostazione melodica di chiara matrice grunge, ruvida ma anch’essa velata da un impronta cupa. In certe canzoni come “Drummed out…” si ha la sensazione di ascoltare i primi Nirvana se avessero intrapreso la via stoner, in altri casi, “Sheer dementia” “The talons of…”, il ritmo diventa più violento e convulso grazie ad una ritmica oppressiva e alla pressochè totale mancanza di qualsiasi spazio solistico. Appare evidente, proseguendo nell’ascolto, la decisione del gruppo di rinunciare alle interessanti infiltrazioni psichedeliche che avevano caratterizzato i migliori brani del debutto, per ottenere in cambio maggior forza d’urto metal-oriented in analogia con i labelmates Sally, vedi le rocciose “Mumrah” e “Pilgrin”, provocando però una maggiore prevedibilità ed omogeneità della proposta, non interamente bilanciata dai pur validi tentativi di sottrarsi ai canoni stoner. Accenni heavy-psych e respiro meno monolitico arrivano soltanto dalla conclusiva “Echo’s of…” dove il tono delle chitarre diventa più soffice ed insinuante e va’ a contrastare l’abrasiva voce filtrata e nella ghost-track, che riesce a risultare brutale e spaziale al tempo stesso. Non è dunque arrivato il salto di qualità che era lecito aspettarsi, il disco è certamente interessante ma non migliora il giudizio complessivo sul quartetto inglese, che non riesce a sfruttare completamente il potenziale di originalità in suo possesso. Per il momento è ancora una fase di transizione.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?