“The Nostalgia Factory”.Il titolo dell’iconico brano dei
Porcupine Tree delle origini - prima della clamorosa (e meritata) ascesa del funambolico
Steven Wilson - sintetizza a dovere quello che è un lavoro atteso dal lontanissimo 2009 e che suona come una rimpatriata tra vecchi compagni di scuola con la voglia di rimettersi in gioco.
Non c’è l’effetto sorpresa, comunque difficile da ottenere negli anni dello streaming e delle continue anticipazioni su YouTube che ormai permettono di ascoltare un album quasi per intero prima della sua uscita. Non ci sono sorprese nelle nervose
“Harridan” e
“Rats Return”, nelle malinconiche
“Of The New Day” e
“Dignity”, tutte tracce comunque piacevoli impreziosite dal drumming sempre elegante di
Gavin Harrison e dalle tastiere avvolgenti di
Richard Barbieri, ma che pagano lo scotto dello stile compositivo ormai consolidato di Wilson.
Il rifframa di
“Herd Culling” ha qualcosa degli
OSI di Jim Matheos (altro progetto che ha visto coinvolto l’occhialuto artista inglese), mentre la magnetica
“Walk The Plank” ha più di un debito nei confronti di Martin Gore.
C’è tanto mestiere, quello sì (soprattutto nella conclusiva
“Chimera’s Wreck”), ed è difficile che un fan dei
Porcupine Tree del periodo che va da
“In Absentia” a
“Fear Of A Blank Planet” non apprezzi anche minimamente
“Closure/Continuation”, un lavoro scorrevole per quanto
retromaniaco.
La domanda resta: era troppo presto per alzare un pochino l’asticella?
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