La voglia di riprodurre situazioni dei primi anni '80 è sempre più radicata e perseguita da svariate formazioni, soprattutto da quelle ai loro esordi, e quindi spesso ancora legate ad uno status di "fan".
Questo vale anche per i
Midas, tutto, dal logo, l'artwork, le foto promozionali, sono ai titoli dei singoli brani, odora di Eighties.
"
Slaves to the Night", "
Hell Has Frozen Over", "
Running Scared" (incalzante e con un pizzico di Tank) e la conclusiva "
Golden Chariots", hanno nel loro D.N.A. parecchio della N.W.O.B.H.M. e anche di più degli Iron Maiden, dal basso pulsante di
Anthony Franchina alle chitarre di
Casey O’Ryan (solista) e
Joe Kupiec, con quest'ultimo che si è preso carico anche dei compiti di cantante e, pur non particolarmente talentuoso, risulta efficace, soprattutto quanto si avvicina a tonalità "
ozziane", come avviene ad esempio su "
Break the Chains".
Nel corso del disco non si trovano però solo riferimenti alla terra D'Albione, infatti, "
Eyes in the Cold" ricorda gli Heavy Load, e nel caso del ruvido Hard & Heavy di "
Nobody Gets out Alive" o della epicheggiante "
Hell Has Frozen over" i
Midas guardano anche in casa propri, con qualche possibile rimando, rispettivamente, a Riot e ai Cirith Ungol o Brocas Helm. Ma nel sound dei
Midas si possono ancora percepire delle reminiscenze di quel Rock settantiano espresso in maniera egregia dai Bison Machine, formazione nella quale hanno militato
Franchina,
O’Ryan e anche il batterista
Breck Crandell.
Nei
Midas vedo davvero un buon potenziale, ancora non pienamente espresso, infatti, non è che tutto quello che toccano diventi oro: gli manca ancora un po' di varietà e un pizzico di brio in più.
Metal.it
What else?
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?