Ed eccoci di nuovo ad affrontare un’opera per cui è veramente difficile scindere lo “spirito critico” dalla devozione, rappresentando, i
Journey, per chi scrive, uno dei gruppi prediletti dell’intera
Storia del Rock.
Aggiungete le aspettative enormi che, nonostante tutto, comportano tale smisurata ammirazione e capirete quanto sia arduo trattare “
Freedom”, senza scadere in toni eccessivamente elegiaci o, dall’altro canto, forzatamente distaccati.
Ecco perché le seguenti parole scaturiscono dal faticoso tentativo di essere obiettivi nonostante l’affetto e la riconoscenza, tenendo conto che dai “migliori” si pretende il “meglio” anche quando la fatica degli anni di militanza e il rischio del sopraggiungere della
routine sono costantemente in agguato.
Cominciamo con la considerazione più semplice e “scontata” … il disco è impregnato di classe e di tecnica sopraffina, con i nuovi innesti (
Randy Jackson, già collaboratore della
band ai tempi di “
Raised on radio”, e
Narada Michael Walden, non esattamente due
carneadi …) che s’inseriscono con estrema disinvoltura in un meccanismo perfettamente oliato e grondante di sensibilità interpretativa.
Continuiamo affermando, a completamento della prima considerazione, che
Neal Schon si conferma un musicista strepitoso, dalla personalità straripante e dal gusto espressivo inattaccabile, supportato splendidamente da un
Arnel Pineda ormai libero dall’ombra invadente dei suoi predecessori e da un
Jonathan Cain perfetto e preciso, come sempre, nel colorare di tinte pastello le composizioni dell’
album.
Arrivati dunque alle canzoni di “
Freedom”, dopo averne incensato la diffusa eleganza, non rimane che sottolinearne una certa versatilità e una capacità comunicativa che, sebbene magari non proprio “travolgente” (complice anche una resa sonora un po’ “ovattata” …), s’insinua gradualmente con notevole efficacia nei gangli sensoriali dell’ascoltatore.
Volendo proprio trovare un parallelo con il glorioso passato del gruppo (tanto lo so che la tentazione di impegnarsi in tale
sconveniente consuetudine è altissima …), direi che forse sceglierei un “
Trial by fire”, riletto in un’ottica adatta ai nostri tempi e privo di fastidiose autocelebrazioni.
La partenza è piuttosto rassicurante … “
Together we run” è una ballata di notevole suggestione, in grado d’insegnare “una o due cosette” ai molti epigoni sulle regole auree della costruzione di un perfetto crescendo emotivo, mentre “
Don’t give up on us” potrebbe essere considerata, con un pizzico di gusto per l’iperbole, la “
Separate ways” del terzo millennio e “
Still believe in love” con il suo clima notturno e soffuso trasporta l’astante in un bozzolo di avvolgente malinconia.
Dopo tanto sentimento, è giunto il momento della prima scossa elettrica della raccolta, garantita da “
You got the best of me”, un
anthem di buona fattura, che però lascia subito spazio ad un altro momento di magniloquenza sentimentale denominato “
Live to love again”, capace di “scongelare” anche i cuori più coriacei e irriducibili.
Con “
The way we used to be” i
Journey mescolano ad arte
hard-blues e
AOR, e se
“Come away with me” prosegue sulla stessa falsariga sonora accentuandone ulteriormente il
groove, “
After glow”, con
Deen Castronovo gradito “ospite” al microfono, riprende a sollecitare in maniera imperiosa la componente più sensibile dell’animo
rockofilo.
Il tocco
soul elargito a “
Let it rain” permette di rimarcare la duttilità vocale di
Pineda, sottoposta a un
test importante anche nella successiva “
Holdin on” e nelle vibranti pulsazioni di “
All day and all night”, che potrebbe addirittura appartenere al repertorio degli Hardline.
Più “agevole” appare l’accattivante “
Don’t go”, a dire il vero non esattamente il pezzo migliore del programma, titolo che invece rischia seriamente di essere assegnato a “
United we stand”, un’altra raffinata “prova di forza” concessa da questi autentici sovrani dell’
Adult Oriented Rock.
Ancora due scintille soniche prima dei commenti finali … “
Life rolls on”, con il suo lussureggiante
pathos prog-eggiante e una “
Beautiful as you are” talmente toccante e intensa da inserirsi di diritto tra gli
highlights dell’albo.
Il ruolo di
Maestro, con tutto il suo impegnativo fardello di onori e oneri, non è affatto facile da interpretare, ma i
Journey osservano beati il passaggio delle mode e il dibattersi convulso dei discepoli con la consapevolezza di chi certi suoni li ha “inventati” e non ha intenzione di smettere di trattarli con ispirazione e passione … aspetti che rendono “
Freedom” un ritorno discografico degno di ampia e perentoria celebrazione..