Lo stile di
John Mitchell - complice una prolificità fuori dal comune, finanche eccessiva - tende a riservare sempre meno sorprese con il passare del tempo, e il nuovo
“A Model Life” sembra confermare questa tesi.
È rock progressivo accessibile, più curato del solito sul fronte degli arrangiamenti vocali (
“Recalibrating”, “The Island Of Misfit Toys”), e che non ha paura di evidenziare le fonti (difficile non pensare a Peter Gabriel nelle riuscite
“Digital God Machine” e
“Starlit Stardust”, ai Pink Floyd senza Roger Waters in
“Species In Transition” o a Phil Collins nel beat della batteria elettronica della solare
titletrack).
La breve e avvolgente
“Mandalay” sfocia nella sezione meno convincente del full-length, caratterizzata da brani più insipidi come
“Rain Kings”, la muscolare
“Duty Of Care” (che ha qualcosa di
Steven Wilson) e la conclusiva
“In Memoriam”, sinistra ma noiosa.
Che i
Lonely Robot abbiano fatto di meglio in passato è fuori discussione, ma questo non vuol dire che
“A Model Life” meriti una stroncatura. Mi auguro solo che la prossima volta il livello complessivo sia un pochino più alto.
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