Copertina 6

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2022
Durata:49 min.
Etichetta:Rock of Angels Records

Tracklist

  1. THE SIEGE OF AKKON
  2. BATTLE CRY
  3. HELL IS MY PURGATORY
  4. KING OF THE KINGS
  5. SYMBOL OF ETERNITY
  6. SALADIN
  7. NIGHTS OF JERUSALEM
  8. HEART OF A WARRIOR
  9. GRACE OF GOD
  10. SKY OF SWORDS
  11. HOLY WARFARE
  12. THE LAST CRUSADE
  13. HELLAS HELLAS (VASILIS PAPAKONSTANTINOU COVER)

Line up

  • Chris Boltendahl: vocals
  • Jens Becker: bass
  • Axel "Ironfinger" Ritt: guitars
  • Marcus Kniep: drums, keyboards

Voto medio utenti

Al netto di prestazioni live a volte pietose, al netto di una discografia lunghissima e che conta diversi passi falsi o poco ispirati, tenendo insomma conto di tutto questo, un pochino di curiosità per un nuovo lavoro dei Grave Digger c’è sempre. Alcuni loro album sono infatti entrati nel mio cuore metallico, li riascolto spesso con piacere e non potevo quindi ignorare la chiamata dei becchini.

La fantasia, l’esplorazione di nuovi sentieri musicali, lo spazio per le evoluzioni e i cambiamenti non sono certo le strade più percorse nella storia della band tedesca che, tolto qualche album dal sapore leggermente più sinfonico e melodico sparso nel post anni 2000, ha sempre mantenuto un sound essenziale. Da qualche tempo a questa parte, e a maggior ragione sul nuovo "Symbol of Eternity", le canzoni sono state parecchio asciugate, vanno dritte al punto e si basano su pochi riff graffianti e su ritornelli che si aprono supportati da cori. Tutto questo funziona bene quando i riff e le tematiche sono ispirate, quando ci sono la spinta e la carica giuste. Altrimenti cosa succede? Vediamolo insieme.

"Symbol of Eternity" è il ventunesimo (!) album della carriera dei Grave Digger e va a riprendere le tematiche dei templari e delle crociate tanto care ai nostri beccamorti, ambientazioni che sul finire degli anni ’90 ci hanno regalato l’ottimo Knights of The Cross.
Vi faccio notare che:
- nel 2010 hanno realizzato un album chiamato The Clans Will Rise Again, riprendendo le ambientazioni ed i concetti espressi del loro famosissimo Tunes of War;
- nel 2014 hanno poi pubblicato Return Of The Reaper, con la promessa del ritorno ad un suono di quella bomba di The Reaper rilasciato nel 1993;
- nel 2020 è la volta di Fields of Blood, il terzo capitolo della saga scozzese iniziata con Tunes of War;
- nel 2022 pubblicano questo Symbol of Eternity riprendendo storie e concetti narrati su Knights of The Cross.
A tutto questo aggiungo che una nuova canzone di questo ultimo album, “Battle Cry”, ha un riff ed un andamento MOLTO simile a “Pendragon” presente su Excalibur (1999) ed il pezzo “King of The Kings” ha un riff iniziale preso per metà proprio dalla succitata “Battle Cry”.
Confusi? Già, siamo alla derivazione della derivazione, provare per credere.

Ora, con tutto questo preambolo, "Symbol of Eternity" potrà essere un disco ispirato con della spinta e della carica come accennavo qualche riga sopra? Potrà rappresentare una svolta nel sound della band? Potrà solleticarci con melodie appassionate e sollazzarci con canzoni altamente coinvolgenti?
Un paio di palle.

Ma…

Da parecchio tempo, come detto, la formula dei Grave Digger consiste nel tirare fuori un riff sporchissimo ed esageratamente distorto (maledetto Ritt), aggiungere un’apertura più melodica in fase di ritornello e supportarla con dei cori perché il buon Chris non ha più voce, mettere qualche leggera tastiera per creare ambientazione, scegliere la formula del mid tempo o quella della doppia cassa-elicottero. Et voilà.

Se non conoscete la band ed avete voglia di ascoltare un disco heavy metal grezzo, semplice e verace, Symbol of Eternity va anche bene ed è principalmente per questo che non mi sono sentito di segarlo. Non posso negare che l’up tempo graffiante di “Hell Is My Purgatory” sia piacevole e ben fatto, così come l’oscureggiante e trascinante “Nights of Jerusalem”, apprezzabile anche la varia ed atipica title track MA per quanto riguarda il resto delle canzoni viaggiamo tra un déjà vu ed il puro mestiere. Non è male nemmeno “The Last Crusade” ma le parti di questo pezzo sono tenute insieme con lo scotch e a livello di produzione si poteva certamente fare meglio. Mancano ispirazione, vivacità, carica, trasporto, potenza, melodie vincenti. In chiusura cito un attimo “Hellas Hellas”, cover di una canzone greca e che vede la partecipazione di Vasilis Papakonstantinou, simpatica e che strappa un sorriso con il suo organo Hammond e la sua anima rock. Trovo giusto tenerla alla fine come bonus, è che paradossalmente sembra più viva e interessante di molti altri pezzi del disco.

Non mi dilungo oltre. Traete voi stessi le conclusioni e scegliete pure se immergervi nell’ascolto di questo ventunesimo capitolo che, lo ripeto, non ritengo brutto ma semplicemente poco ispirato e troppo di mestiere, oppure passare oltre visto che la buona musica non manca.

p.s. Ho aperto questo scritto citato le pessime performance live dei Grave Digger e cliccando questa recente esibizione tenuta al Rock Hard Fest potete farvi un’idea. Chris non ne ha proprio più ed è accompagnato alla voce da un ragazzo spesso fuori tempo, Axel “Ironfinger” Ritt è invece più impegnato nelle sue solite odiose pose da dio della chitarra piuttosto di essere efficace, infatti sporca tutto lo sporcabile ed il gruppo non sta insieme.

Recensione a cura di Francesco Frank Gozzi

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