Dopo la straripante esibizione di
Ann Wilson (
Heart) alla cerimonia del Kennedy Center dedicata ai
Led Zeppelin, con una versione che ha indotto alle lacrime persino il burbero
Robert Plant, sembra che anche l'hard rock melodico al femminile sia in grado di vivere una seconda giovinezza.
Floor Jansen (
Nightwish) e la straordinaria
Noora Louhimo (
Battle Beast) si sono prepotentemente imposte grazie al loro incredibile talento in ambiti più moderni, ma anche in campo estremo una
Alissa White-Gluz (
Arch Enemy) si è candidata come punto di riferimento per il genere.
Mancava giusto l'AOR per completare l'ultimo tassello di mercato.
Strategia studiata a tavolino per favorire le "quote rosa"?
Può essere, ma non è questo il luogo per simili considerazioni. Eppure gli anni 80 sono stati una fucina di "nobil donne" in tal senso: basti pensare alle varie
Lee Aaron,
Alannah Myles,
Lorraine Lewis,
Teresa Straley, alle già citate "Wilson sisters" in forza alle Heart, ma anche ad eroine meno conosciute (eppure di culto) come la meravigliosa
Alexa.
So che oggi tale nome viene associato ad un petulante ed insulso robot vocale, però questo rappresenta un problema dei millennials e della loro pochezza culturale.
Dorothy Martin è una cantante di origini ungheresi (Budapest), ma cresciuta in quel di San Diego, nonché attualmente titolare della band che arreca semplicemente il suo nome come banner distintivo. "
Gifts From The Holy Ghost" è il terzo album della bellissima cantante americana di adozione, sicuramente il suo lavoro più orientato al melodic rock, dopo un inizio di carriera maggiormente improntato verso il blues. Circondata da ospiti d'eccezione come il figlio d'arte
Trevor Lukather (figlio di Steve, la sei corde dei leggendari
Toto) ed il batterista
Brian Tichy, Dorothy si confronta da par suo con un repertorio tipicamente party-metal, dove solo alcune scelte di arrangiamento confessano la data di uscita rispetto a quel glorioso passato. Il fuoco di fila iniziale è impressionante, con una "
Beatiful Lie" che scatena immediatamente la roboante ugola della Martin, peraltro affiancata da un sincronismo di chitarre perfetto. Si prosegue con la più pomposa "
Big Guns", con il singolo "
Rest In Peace" ed i suoi palesi riferimenti alla
Cher di "
Just Like Jesse James", capolavoro western-rock estratto da "
Heart Of Stone".
L'immersione vintage è totale, titoli dall'appeal irresistibile come "
Hurricane" oppure la big ballad "
Close To Me Always" si susseguono senza soluzione di continuità: addirittura "
Black Sheep" cita apertamente i
Warrant di "
Cherry Pie", a palese conferma che "quella" resta l'era artistica di riferimento per "Gifts From The Holy Ghost". La title-track è una definitiva e rutilante chiusura nello sfarzo Eighties, con la voce di Dorothy che squilla come una sirena su un ritmica incalzante. Un disco che ti fa venire voglia di replicare gli ascolti in loop, proprio come se si trattasse delle Heart redivive.
Per citare il refrain di "
Wanderlust", firmata dalla succitata Alexa nell'anno di grazia 1989, "
jump in the car, turn the radio on“. Sensazioni lontane, eppure mai sopite, pronte a ripresentarsi immediatamente se l'interprete è quella giusta.
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