Arthur Brown, iconica leggenda del rock seventies, compie ottanta anni (nato a Whitby, UK, il 24 giugno 1942) e festeggia tale significativa ricorrenza (se pensiamo a quanti musicisti della sua generazione ci hanno già lasciato, è una sorta di sopravvisuto..) nel modo in cui ha trascorso l'intera vita: facendo musica. Esce infatti questo "
Long long road" per
Magnetic Eye, ennesimo album di una carriera iniziata intorno alla metà degli anni '60 e sviluppata attraverso i "Crazy World of Artur Brown", i "Kingdom Come" e le pubblicazioni a proprio nome.
Non c'è alcun dubbio che il cantante britannico venga ricordato soprattutto per il mitologico singolo "Fire", uscito per Atlantic nel 1968 e diventato uno dei manifesti della storia del rock psichedelico. Scritto da
Brown, Vincent Crane (poi fondatore di un'altra formazione storica: gli Atomic Rooster), Mike Finesilver e Peter Ker, venne pubblicato come singolo e successivamente inserito nell'unico full-length dei "The Crazy World of Arthur Brown". Un successo mondiale pazzesco, se teniamo conto dell'epoca, che salì al primo posto della classifica di vendita in Gran Bretagna e Canada, al secondo negli Usa e nella top-ten di mezza Europa. Un milione di copie vendute per il singolo (che si aggiudica il disco d'oro) e grande affermazione anche per l'album, nel quale compare alla batteria Carl Palmer (sì, proprio lui, quello degli Emerson, Lake & Palmer).
Purtroppo la band si rivelerà una meteora, visto che si scioglierà appena due anni dopo per insanabili dissidi interni.
Arthur fonderà quindi i Kingdom Come, con i quali percorrerà i '70, riproponendo lo storico moniker solo nel nuovo millennio per alcuni concerti celebrativi.
Sarebbe però davvero riduttivo ricondurre il nome del vocalist ad una sola hit, per quanto eccezionale.
Brown è stato un artista geniale, visionario, un vero paladino della psichedelia allucinogena alla quale ancora oggi si ispirano in molti. Autoproclamatosi "God of Hellfire", è considerato l'inventore del corpse paint (che ha influenzato palesemente gente come Alice Cooper, Kiss, King Diamond), della teatralità on stage, delle performance provocatorie (indimenticabile il suo elmetto lanciafiamme e le volte che rimaneva nudo sul palco, cosa che a quei tempi gli causò non pochi problemi). Non dimentichiamo che fu anche uno dei primi pionieri della batteria elettronica, un precursore delle sperimentazioni e delle contaminazioni tra i generi musicali, sottolineando inoltre le sue feconde collaborazioni con Klaus Schulze, Alan Parsons, Bruce Dickinson (sue le parti narrate in "The chemical wedding") o la partecipazione al monumentale film-musicale "Tommy" degli Who.
Senza dilungarsi eccessivamente, siamo di fronte ad un protagonista della storia del rock, un personaggio carismatico che ha attivamente contribuito all'affermazione dello spirito dissacrante e provocatorio di questo genere musicale. Artista a trecentosessanta gradi, precursore e creatore di tendenze pluridecennali, influencer pre-social ed ispiratore per le generazioni a venire, che probabilmente ha ottenuto meno successo e popolarità di quanto realmente meritasse.
Il suo nuovo lavoro ci catapulta in quell'epoca dorata, come se i decenni non fossero trascorsi, miscelando sapientemente il blues, la psichedelia, il rock progressivo britannico delle origini. La voce di
Arthur non può essere quella dei suoi vent'anni, ma il suo timbro spiritato e lievemente sinistro è un marchio inossidabile (tra i suoi seguaci mettiamoci anche Bobby Liebling), mentre il songwriting e gli arrangiamenti sono puro British-style 60/70. Un disco ricco di piccole gemme rock, cariche di stimoli ed emozioni immobili nel tempo, varie nell'impostazione e nelle soluzioni come solo un musicista che ha attraversato le epoche può realizzare.
Dalla pulsante psichedelia acida di "
Gas tanks" (con utilizzo di organo e flauto sulla ritmica tesa e Hawkwindiana) al soffuso e tetro dark-horror "
Coffin confession", dagli echi soul-alcolici in "
Going down" allo swamp-blues tenebroso ed inquietante di "
Once I had illusions (part.1)", siamo di fronte a canzoni che possiamo definire come pennellate d'autore. Evidente che anche a ottanta anni la passione e l'intuito per la buona musica non sono venuti meno al "Dio del Fuoco Infernale". Non ci saranno magari hit immortali, ma un paio di root-blues dannati e diabolici come "
I like games" (con l'armonica in bella evidenza) e "
The blues and messing round" evocano brillantemente il glorioso spettro di "Howlin' Wolf" (Chester Arthur Burnett, antico maestro del blues), così come il rockaccio rhythm'n'blues "
Shining brightness" fonde la scuola del Delta del Mississippi con l'eleganza di quella inglese stile Yardbirds/Cream. I dettagli e le sfumature sono ancora perfette, l'atmosfera garbatamente psichedelica funge da legame tra i brani, la padronanza della materia è cementata in oltre mezzo secolo di musica, il desiderio di onorare una carriera storica è ammirevole.
Se ci fossero ancora dubbi, la conclusiva "
Once I had illusions (part.2)" sembra scritta ed eseguita da un Eric Clapton dei momenti migliori ed ogni nota merita di finire nel grande manuale del rockblues di ogni epoca.
Tanti auguri, mister
Arthur Brown! Tanti auguri perchè ci hai regalato sempre musica splendida e riesci a farlo ancora oggi, con così tante primavere sulle spalle. Quando compilate la classifica delle leggende viventi del rock, non dimenticatevi mai di questo nome.