Affascinante, malinconico ed introspettivo, il nuovo album degli italiani
Aura arriva a ben sette anni dal suo predecessore, intitolato "
Noise". La formula sonora della band fondamentalmente è sempre la stessa: le costruzioni musicali cercano l'atmosfera, e piegano la tecnica strumentale al servizio di una forma-canzone onirica, molto debitrice ai Porcupine Tree, con una visione molto simile dell'obiettivo sonoro.
Giovanni Trotta, come sempre al microfono e alla batteria, guida la banda per nove tracce, più una conclusiva cover di "
Astronomy Domine" dei Pink Floyd, per l'appunto uno dei brani più lisergici e sognanti del combo britannico; le composizioni originali sanno ben dosare chitarre taglienti e litanie melanconiche ("
Underwater", "
Lost Over Time", la bella "
My last words to you"), dove gli strumenti acustici sanno alternarsi a quelli elettrici, preferendo lavorare sull'atmosfera che sullo stupore uditivo.
"
Underwater" non è di sicuro un album facile da digerire; in primis, la sua attitudine potrebbe risultare quasi svogliata, se non ci si lascia irretire dal fattore emotivo, qui fondamentale; ma, una volta trovato il tempo e lo spazio interiore, questo è un album che può regalare emozione, cosa sempre più rara, soprattutto in ambito progressive.
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