Del progetto
Deep Space Mask avevo già parlato in occasione del lavoro d'esordio "Songs from the dark" risalente ai primi mesi dello scorso anno. Si tratta della one-man-band del misterioso polistrumentista francese
Raymz, del quale si conosce la sua precedente collaborazione con i Fiinky Pie e poco altro, a parte che appare restìo a mostrarsi anche nelle immagini promozionali. Riguardo quell'opera avevo inoltre sottolineato la forte influenza dei più classici nomi del doom: dai Black Sabbath ai Trouble, dai Pentagram a Paul Chain, ecc. Un sound austero ed arcigno, in equilibrio tra rock e metal come prevedono i dettami del genere. Un pò derivativo e con qualche aspetto artigianale di troppo, in verità.
Il musicista di Roanne (Loira) nel frattempo si è applicato molto, ingegnandosi per offrire qualcosa di maggiormente variegato e personale. Il presente "
In tenebris" (
Argonauta Rec.) è la testimonianza della proficuità di tale impegno e rappresenta un positivo innalzamento dell'asticella della qualità.
Più varietà, più dinamismo, più grinta, il transalpino ci presenta nove brani belli carichi che spaziano dal doom classico all'heavy metal graffiante e viscerale. In parallelo alle influenze citate in precedenza compaiono ora chiare componenti ottantiane (Saxon e primi Rainbow, ad esempio), insieme perfino ad un groove marmoreo molto stoner-oriented.
La produzione è ottima, i suoni puliti e potenti anche se con un vago retrogusto digitale. Il sound risulta intenso e sufficentemente fantasioso, frutto di una scrittura dei brani non sorprendente ma di livello più che dignitoso. L'album si snoda attraverso tematiche massiccie e doom-sludgy dal passo lento e ieratico ("
Clinton road", "
In tenebris"), episodi maggiormente dinamici e heavy-rock che rammentano tanto certi Black Sabbath che un R. J. Dio ("
Dark light", la poderosa ed enfatica "
Slave", "
Heavy metal thunder") e che profumano di buon vecchio metal anni '80, classici doom Candlemassiani dal cipiglio oscuro e melodie amare ed evocative ("
Into the unknown") e perfino incursioni nello stoner-metal vigoroso ed epidermico ("
Breakaway", la grezza e fumosa "
Breaking the silence" che mi ha ricordato gente come Sahg o Graveyard) dove il tiro incalzante vanta un buon equilibrio tra grinta ed orecchiabilità.
Raymz se la cava bene con tutti gli strumenti, anche se le performance migliori le riserva alla chitarra, sia come rifferama che nei misurati assoli. La prestazione vocale è discreta, pur se in alcuni frangenti sembra mancare un pò di incisività. Nell'insieme dimostra ottima competenza e buona capacità di interpretare le proprie influenze stilistiche, che rimangono chiaramente individuabili.
Prova più corposa rispetto al debutto, meglio definita ed ispirata. Rimangono forti debiti con i classici del genere, ma adesso sono strutturati ed inglobati meglio. Collocarsi nella twilight zone tra doom, metal e rock non è semplice, ma i
Deep Space Mask riescono a farlo in maniera accettabile con qualche momento di brillantezza. Lavoro onesto, non da top-ten ma degno di attenzione.
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