I messicani
Electric Mountain avevano esordito nel 2017 con l'album omonimo per la
Electric Valley Records, ottenendo una certa attenzione all'interno del settore stoner rock. A distanza di un lustro il binomio "elettrico" propone il presente seguito "
Valley giant", un concentrato di fuzz-guitar, drumming poderoso, ritmiche up-tempo e pennellate di acidità.
Diciamo subito che il trio di Città del Messico non si pone come principale obiettivo l'innovazione del genere: il sound pesca a piene mani dal filone Nebula, Atomic Bitchwax, Datura4, ecc, però l'interpretazione avviene con energia quasi Motorheadiana e con un tiro bello spesso e grezzo che è sicuramente il marchio di fabbrica del gruppo. Il songwriting mostra sufficiente varietà ed un buon dosaggio dei cambi di ritmo, delle impennate solistiche e delle atmosfere fumose e psicoattive.
Il disco parte con l'aggressivo intro strumentale "
The great hall" che cede posto alla rocciosa "
Outlanders", classico episodio di heavy stoner americano. Molto muscolare e denso, con la chitarra di
Gibran Perez che si scatena in riff anthemici e assoli stordenti, accompagnata dalla ritmica tuonante della coppia
Trejo (basso) e
Cabrera (batteria).
"
Morning grace" ha una struttura ancora più raw, gravida di energia sudata e retrogusto seventies-psych. Una sorta di ponte temporale tra gli Hawkwind e gli Orange Goblin, con le vocals controllate di Perez che si adattano perfettamente al contesto sonoro. Ottimo pezzo.
Il livello si conferma costante nel dipanarsi della scaletta con alcuni picchi di assoluta rilevanza, vedi la torrenziale "
A fistful of grass" dove il chitarrismo cosmic-drug mi ha ricordato quello di Kent Stump dei Wo Fat. Piacevole anche la tirata "
Desert ride", più orecchiabile e rockettara alla Atomic Bitchwax.
Da segnalare che la band centroamericana non si accontenta mai di soluzioni troppo semplici e canoniche, cercando di inserire sempre dettagli che regalino un pò di carattere alle canzoni. Anche un episodio non propriamente originale come "
Vulgar planet", serrato e cupo alla Electric Wizard, viene ottimamente corredato da accellerazioni high-energy e da una tonnellata di distorsioni stordenti come una sbronza alcolica.
In coda troviamo prima una sopresa totalmente slegata dal resto del materiale: "
At last everything" è uno swamp-blues marcio come una palude della Louisiana. Mood elettroacustico e nostalgico, si respira l'aria del sud degli States grazie alla melodia intensa e amara della componente vocale che sfocia poi in un lungo e limpido assolo. Brano decisamente diverso da tutto il resto, ma realizzato con capacità. Invece la conclusiva "
A thousand miles high" è il classico lungo percorso animato da indole jammistica (otto minuti) che rappresenta un immancabile tradizione di questo filone musicale. Gli
Electric Mountain lo sviluppano con passo pesante, puntando sull'effetto narcosi del fuzz insistito, per sciogliersi poi in una cavalcata alluvionale guidata dalla chitarra ipersatura di
Perez. Un monolito heavy, granitico, ad alto gradiente di tossicità, che non può certo sorprendere chi è abituato a questo tipo di interpretazioni rock ma risulta comunque di valida efficacia epidermica ed allucinogena.
I messicani sono una di quelle formazioni che riescono a trasmettere passione con la loro musica. Non fanno spalancare gli occhi per lo stupore, talvolta si trascinano dietro un retrogusto di già sentito, ma l'energia viscerale che prorompe dal loro album è indubbiamente sincera ed appagante. Se cercate un nome nuovo che suoni del poderoso heavy-stoner, gli
Electric Mountain sono adatti al bisogno.
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