Ok … i loro
fans lo sanno già … gli
Autograph del terzo millennio non sono più quelli di “
Sign in please”, “
That's the stuff” e “
Loud and clear”, e difficilmente ci sarà una nuova “
Turn up the radio” nel loro repertorio attuale.
I tempi cambiano, il
business discografico pure e non si perdono “per strada” due elementi qualificanti come
Steve Lynch e
Steve Plunkett senza colpo ferire.
Abolite anche le tastiere, il loro
sound si è fatto più pragmatico e aitante, pur non rinnegando quello spirito degli
eighties nel frattempo tornato abbastanza in auge nei gusti dei
rockofili dopo essere stato per un po’ di tempo spazzato via da suoni maggiormente alternativi e “moderni”.
E allora come valutare questo nuovo “
Beyond”?
Beh, diciamo che siamo di fronte ad un disco abbastanza godibile di
hard-rock melodico, graffiante e
bluesy, che non disdegna la ricerca del
refrain “a presa rapida” risultando alla fine, tutto sommato, capace di non affossare la reputazione di una formazione che ai “tempi belli” ha saputo rivaleggiare con concorrenti prestigiosi del calibro di Dokken, Hurricane e Rough Cutt nell’ambito del miglior
class-rock statunitense.
La voce sabbiosa di
Simon Daniels (Jailhouse, Flood, 1RKO) appare decisamente adatta al “nuovo corso” della
band, e affidare l’impegno chitarristico a
Jimi Bell (House of Lords) si rivela altresì una scelta azzeccata, che gli estimatori del genere (magari escludendo quelli più irriducibilmente legati ai “vecchi”
Autograph) non potranno che accogliere con favore e benevolenza.
Un po’ meno soddisfacente appare invece la produzione dell’albo, che rende il suono ovattato e “sporco”, non adatto in particolare ad esaltare brani frizzanti come “
This ain’t the place I wanna be”, con il suo ritornello accattivante, la vaporosa “
Take me higher” (non lontana dai Def Leppard) o ancora la sinuosa “
Beautiful disaster”, che mescola con buongusto “passato” e “presente” del
four-pieces americano.
Altrove gli
Autograph lambiscono territori
sleaze (“
Your slave tonight”, “
Everything”, “
Gotta getcha”, l’ottima "
Run for your life”) o addirittura sconfinano in terreni vagamente
grungiaroli ("
To be together”), arrivando a rendere l’impasto sonico adeguato anche per gli estimatori del
radio-rock contemporaneo.
A completare la raccolta ci pensano infine una manciata di gradevoli suggestioni
southern-blues (
“Love is a double edge sword”, “
Heart of stone”, “
Feels so good” e “
Flying high”), per un albo da giudicare senza lasciarsi guidare dalla nostalgia e dalla commozione.
Sentimenti alimentati,
ahinoi, anche dalla prematura scomparsa di
Randy Rand (fondatore e ultimo rappresentante “storico del gruppo) avvenuta poco dopo la registrazione di “
Beyond”, il quale appare, dunque, indipendentemente da ogni altra considerazione “emotiva”, un lavoro tutt'altro che eccezionale ma decoroso e piacevole.
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