A distanza di otto anni dal precedente "The Lie of the Land", i
Celtic Legacy si ripresentano con il loro nuovo album, anche se poi in realtà "
Redux" è una rivisitazione dell'omonimo album d'esordio della formazione irlandese, ora assestatasi a trio.
E credo che sia stato proprio questo nuovo assetto, che vede al fianco del sempiterno
Dave Morrissey il rientro del bassista
Dave Boylan e l'ingresso alla voce di
John Bonham degli (ottimi) Old Season, ad aver spinto i
Celtic Legacy a rimettersi in discussione ripartendo proprio dal loro omonimo esordio, uscito nel 1998, qui riproposto quasi nella sua interezza, manca, infatti, la sola "Rainman" e con l'aggiunta di "
Talk to Me" e "
Long Ride Home", due canzoni risalenti allo stesso periodo, ma che erano state pubblicate solo successivamente come bonus nelle edizioni limitate di "Resurrection".
Ammetto che il primo pensiero è stato quello di andare a confrontare la prova di
Bonham con quella di Tommy Branagan che aveva cantato su "Celtic Legacy", e il nuovo frontman ne esce assolutamente a testa alta, così come vince a man bassa l'accostamento agli altri due cantanti che lo avevano preceduto nel ruolo, Mark Guildea e Ciarán Ennis.
Infatti, la sua timbrica calda e avvolgente aumenta vertiginosamente il tasso di qualità dei brani, che si giovano anche dei progressi nella tecnologia di registrazione, e finalmente con questo "
Redux" (dal latino: "rifatto in altro modo") i
Celtic Legacy possono dichiararsi soddisfatti della resa finale. E ne hanno tutte le ragioni, ogni episodio, dagli arpeggi della brevissima intro strumentale "
From the Plains" alla conclusiva "
Waterfront", brilla di luce propria, illuminando un Hard & Heavy intenso ed energico, dagli inevitabili rimandi a Thin Lizzy e a Gary Moore, ma anche al songwriting e chitarrismo degli Iron Maiden (su tutte "
Wandering Free"), assieme alle evidenti influenze di altri caposaldi come Deep Purple, Led Zeppelin, Saxon, Ten o Budgie. Se su "
Catch the Wind" o "
Shine" si percepisce l'anima più hardeggiante e seventies dei
Celtic Legacy, episodi come "
Glen Corr – The Spirit of the Vagabond" non lasciano dubbi su quali siano le radici del gruppo, che si autocelebra nella titletrack, tredici minuti in cui riversano melodie incalzanti, spunti epici e dove il guitarwork di
Dave Morrissey omaggia Gary Moore, ed è poi sempre lo stesso chitarrista a caratterizzare la "
Waterfront", toccante ballad drappeggiata anche da una superba prova di
Bonham.
Mezzo punto in meno perché si tratta comunque di un'operazione di recupero e aspettiamo al varco i
Celtic Legacy alle prese di materiale inedito, ma se i presupposti sono questi, ci sapranno sbalordire.
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