Copertina 7

Info

Anno di uscita:2022
Durata:44 min.
Etichetta:Relapse Records

Tracklist

  1. MISFORTUNE TELLER
  2. DEAD EYES
  3. ASH IN THE HOUR GLASS
  4. THE DEEP
  5. SCRAPE THE ROCKS
  6. NULL AND ETERNAL VOID
  7. THE FLOOR WINS
  8. LANE SPLITTER
  9. NEVER PAYED BACK
  10. DIRT IN YOUR MOUTH
  11. DRESSED UP TO GET MESSED UP
  12. BORN ON A BAR STOOL

Line up

  • Bobby Ferry: guitar, vocals
  • Alex Shuster: guitar
  • Barney Firks: bass
  • Dion Thurman: drums

Voto medio utenti

I - (16) - sono una istituzione dello sludge-metal-hardcore, grazie ad una carriera cominciata nei primi anni 90 e proseguita attraverso una tetragona fedeltà ad un certo tipo di sound senza compromessi. Il loro nome viene comunemente citato insieme ad altri padrini dell'estremismo grezzo e lancinante, vedi Iron Monkey e Eyehategod, ma anche con formazioni dall'impostazione leggermente diversa, ad esempio Crowbar, Down, Acid Bath. Se si ascolta la discografia della band californiana, dal lontano "Curves that kick" (1993) al presente "Into dust", risulta evidente il fatto che lo stile adottato agli esordi è rimasto sostanzialmente invariato nell'arco di tre decadi. Devozione assoluta ad una versione arcigna, massiccia, blindata, di uno sludge molto heavy e compresso con chiare pulsioni muscolari di matrice hardcore.
Uno di quei gruppi dai quali sai esattamente cosa aspettarti, prendere o lasciare. Certamente nel tempo gli americani hanno maturato esperienza, migliorato le proprie capacità, smussato la rozza attitudine bellicosa dei primi lavori, ma alla resa dei conti ciò che hanno da offrire resta invariato: metal aspro, litigioso, cattivo, torvo, disturbante come un cazzotto sui denti ed aggraziato come una colata di cemento.
Precisamente ciò che troviamo in questo nono full-length targato Relapse: dodici brani aggressivi e impattanti, che non mollano la presa e non concedono respiro.
La voce rauca e rozza di Bobby Ferry agisce da filo conduttore del disco, che si apre con la devastante "Misfortune teller". Immaginate dei Mastodon incazzati a dismisura che macinano riffoni heavy teneri come il granito ed avrete l'idea di cosa aspettarvi dal resto. Uno sludge assai poco ortodosso, estremamente metallico, virulento e pieno di groove intimidatorio.
La band americana è comunque capace anche di alleggerire il carico aggressivo, ad esempio "Dead eyes" presenta l'indole torva e fumosa che riconosciamo in gente come Down o King Heavy e la seguente "Ash in the hour glass" è perfino riconducibile ad un hard-stoner con attitudine più melodica del previsto.
Dove però la band funziona al meglio è nelle canzoni rallentate e pachidermiche, su tutte "Scrape the rocks" uno slow ultra-sludgy mortifero e corrosivo, così come nelle tracce compresse e sferraglianti vomitate in faccia all'ascoltatore ("The floor wins", "Dirt in your mouth"). Ciò che distingue i -(16)- da altre formazioni del genere è la capacità di inserire linee vocali accessibili (alternando i toni al vetriolo con altri più contenuti), insieme a passaggi trascinanti che profumano di metal sudista. Soluzioni che in questo album appaiono più presenti che in passato, vedi i due brani finali: "Dressed up to get messed up" è una torrida e malsana cavalcata southern-sludge tipo Sixty Watt Shaman o Serpents of Secrecy, mentre "Born on a bar stool" è una ferale botta tra hardcore e heavy rock (mi ha ricordato gli Acid Bath) ma con inaspettati inserti di sax da losco locale notturno di New Orleans. Chiaramente una aggiunta estemporanea, ma indicativa di una certa maturazione che la band ha ottenuto nel corso del tempo.
Un lavoro pienamente coerente con quanto fatto in passato, senza picchi stratosferici ma saldamente collocato nella tradizione del gruppo. Sludge un pò atipico, che punta maggiormente verso un sound virulento e brutale anzichè allo stordimento soffocante, ma dotato di una grande forza strumentale ed abbellito da alcuni richiami trasversali. Onesti e determinati, come sempre.

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