Nel 1995 non erano in moltissimi i
rockofili interessati al
power-doom, ed è per questo motivo che gli
Abstrakt Algebra, nonostante la presenza di un luminare del settore del calibro di
Leif Edling (Candlemass), non ottennero il meritato riconoscimento, assurgendo a quel ruolo di “culto” al tempo stesso gratificante e frustrante.
La ristampa dell’esordio della
band (un secondo lavoro del gruppo, mai pubblicato ufficialmente, sarà incluso come
bonus nelle
reissues di “
Dactylis glomerata” dei Candlemass …) ad opera della
GMR Music consente di diffondere in maniera ampia il “verbo” degli svedesi, reduci dallo scioglimento (temporaneo) dei Candlemass e forti delle prestazioni irreprensibili di altre importanti personalità (presenti e future) della scena come
Mats Levén (ai tempi apprezzato con Treat e Swedish Erotica … il suo
curriculum successivo è straordinariamente corposo e variegato),
Mike Wead (Hexenhaus, Memento Mori, … e poi King Diamond e Mercyful Fate),
Simon Johansson (Memory Garden, Wolf) e
Jejo Perkovic (Candlemass, Mustasch).
La necessità di
Edling di aggiungere all’impasto sonoro del nuovo progetto artistico nervose variazioni sonore d’ispirazione
prog (l’ammirazione per i Rush, dichiarata esplicitamente nei
credits dell’albo, fornisce un indizio significativo all’ascoltatore), probabilmente complicò ulteriormente la questione, “spiazzando” un po’ chi si aspettava un legame ancora più stretto con gli autori degli immortali “
Epicus doomicus metallicus” e “
Nightfall”.
Un tentativo d’evoluzione probabilmente dettato dalla consapevolezza di quanto fosse difficile perpetuare efficacemente una formula espositiva che con “
Ancient dreams”, “
Tales of creation” e “
Chapter VI” stava cominciando a mostrare piccoli segni di “stanchezza”, e che avrebbe meritato sorte migliore soprattutto per l’immane tensione emotiva che trasuda dai solchi, pilotata dalla prova
monstre di un grande
Levén.
L’opera non è esente da “difetti”, riscontrabili in alcune digressioni soniche non perfettamente focalizzate, e ciononostante non è difficile essere storditi dalla tumultuosa bellezza di “
Stigmata”, che alterna pause a scatti evocativi in un fascinoso clima ammantato dalle tenebre.
“
Shadowplay” fa addirittura meglio dell’
opener, grazie ad una rapace linea vocale e a un
pathos complessivo particolarmente intenso, impreziosito dalle tastiere iridescenti di
Carl Westholm, un “comprimario” di notevole valore.
La strisciante “
Nameless” è un monolite Sabbath-
iano che non si accontenta di adeguarsi ai
cliché, mentre la
title-track dell’albo, dopo l’
intro cinematografica, dipana il suo fascino visionario tra pulsazioni enfatiche e sprazzi avventurosi, attraverso un approccio accentuato nelle successive “
Bitter root” e “
April clouds”. Dopo i precari influssi
industriali di “
Vanishing man”, si approda poi ai quindici minuti di “
Who what where when”, volubili e un po’ dispersivi, ma verosimilmente il vero
showcase della filosofia della “
Algebra Astratta” applicata al
metallo pernicioso.
Le versioni
demo di “
Nameless” e “
Shadowplay” e lo strumentale “
Remulus and Romus” (che i più affezionati ammiratori di
Edling ricorderanno incluse anche in “
The black heart of Candlemass - Demos & outtakes '83 - '99”) completano il programma di questa meritevole riedizione, da consigliare a tutti i sostenitori del
doom-metal, che amano la sua storia e non considerano gli sconfinamenti in altri territori espressivi un atto di intollerabile tradimento.