Dopo aver tributato il genio di Leonardo Da Vinci con il loro precedente album, "A Step Beyond Divinity" (2017), gli
Embryo guardano ora alla contorta personalità di Caravaggio, nome d'arte di Michelangelo Merisi, uomo e artista pieno di nevrosi, paure, intemperanze, protagonista di una storia di arte, violenza e omicidi, di santi e prostitute, di bettole e lussuosi palazzi. Diciamo pure che Il Caravaggio è un'artista che si adatta al Death Metal proposto dagli
Embryo decisamente meglio rispetto, che so, al Beato Angelico oppure ad Andrea Mantegna.
Non stupisce quindi, ritrovare nell'artwork di "
A Vivid Shade On Misery", la testa di Golia, dal "Davide e Golia" esposto al Museo del Prado, e la mano scrivente del "San Girolamo" (Galleria Borghese di Roma), il tutto sormontato dal drappeggio della "Madonna del Rosario" (Kunsthistorisches Museum di Vienna), e chissà quali altri particolari potrei essermi perso.
Lo stesso sospetto che mi coglie quando poi ripenso ai brani che mi hanno accompagnato nell'ascolto dei trentatré minuti che compongono il quinto full length degli
Embryo. Quello dei cremonesi resta sempre e comunque un Death Metal che affonda le proprie radici nella tradizione del genere ma che, come hanno già avuto modo di dimostrare, ha saputo evolversi pur con un'invidiabile solidità a livello di formazione, nella quale ritroviamo sia il chitarrista
Eugenio Sambasile sia il cantante
Roberto Pasolini, presenti su tutte le realizzazioni del gruppo, ma anche il tastierista
Simone Solla con loro dai tempi di "No God Slave" (2010), cui si sono uniti recentemente il bassista
Gabriel Pignata (ex Destrage) e, seppur solo come guest, il batterista dei Nile,
George Kollias.
Per realizzare "
A Vivid Shade On Misery", gli
Embryo nel luglio del 2021 si erano ritrovati nel Domination Studio assieme al produttore
Simone Mularoni, con il quale collaborano ormai da più di un decennio ed ulteriore garanzia di continuità delle sonorità perseguite da almeno due decenni da
Sambasile e
Pasolini, i quali da sempre sono stati abili nel muoversi tra influenze d'oltreoceano (Strapping Young Lad, Fear Factory, Chimaira...) e quelle europee, soprattutto dalla scena scandinava (In Flames, Dark Tranquillity, Soilwork o Meshuggah).
E si picchia subito sodo con "
Pride", aperta dalla doppia cassa terremotante di
Kollias, dove ritroviamo degli
Embryo in gran spolvero, dal cantato di un
Pasolini che passa senza problemi dal growl allo scream, alla chitarra di
Sambasile e alle tastiere di
Solla che dipingono le loro intricate e affilate trame. E i nostri si ripetono su "
Highest Fame" e "
The Seed of Lividity", una coppia di canzoni più articolate dell'opener ma tanto poderose quanto solenni, intercalate da una "
Darkest Lights" indubbiamente ispirata dallo Swedish Melodic Death Metal ed affrontata in maniera superba, e non per niente è stata scelta come primo singolo a rappresentare questo "
A Vivid Shade On Misery".
"
MMDC" si avvia scattante e orgogliosa, pulsante grazie al lavoro di
Kollias e
Pignata, ma poi sono le tastiere spaziali di
Solla e l'arioso assolo piazzato da
Sambasile a dargli carattere e personalità. Anche le seguenti "
Medusa" e "
Vanitas" non si limitano a menare le mani e cercano di stupire con cambi di tempo, stacchi cadenzati e soluzioni meno scontate, per quanto possibile, rispetto agli standard del genere, e così il compito di far male all'ascoltatore tocca alla conclusiva "
Concrete Visionary", con un
Kollias che pare caricato a molla mentre al microfono
Pasolini mostra la sua anima più feroce e ferale.
L'unico appunto che si potrebbe rivolgere a "
A Vivid Shade On Misery" è quello relativo ad una durata che sfora di poco la mezzora, ma se gli
Embryo hanno deciso che era sufficiente, sicuramente meglio così che trovarsi alle prese con un paio di episodi non all'altezza.
"Quando non c'è energia, non c'è colore, non c'è forma, non c'è vita." (Cit. Caravaggio).
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